L'epidemia
Questa è la storia dell’epidemia che
cambiò gli uomini, il mondo, la storia. Apalia, questo è il suo
nome. Paragonabile per entità delle perdite e distruzione di
una società solo alla peste del 1630.
All’inizio la sua potenza devastante
fu sottovalutata, per questo forse i suoi effetti furono così
tragici. Cominciò a manifestarsi e a diffondersi in modo silente e
subdolo: la gente iniziò a parlare meno. Sembra un fenomeno banale,
può capitare che qualcuno resti in silenzio per qualche ora, o
magari anche per qualche giorno, ma successe a un dato momento
che qualcuno se ne accorse e si preoccupò per il comportamento
anomalo del figlio, del genitore o del vicino di casa. E non solo si
parlava meno, ma si parlava con voce diversa. Un tono di voce basso,
pacato. Erano scomparsi i toni corrispondenti all’ira, alla rabbia,
alla prepotenza, al disprezzo, alla derisione, all'inganno. Ed era
come trapelasse... gentilezza. Certo, la gentilezza non poteva essere
considerata un sintomo preoccupante, e non era un male assoluto, ma
ci sarebbe molto da argomentare sulle innumerevoli conseguenze della
sua diffusione. Intanto si videro cambiare personalità, profili,
carattere. I malati non erano più loro, erano corpi svuotati della
propria emotività: altri. Poi era impossibile far conto sulle
altrui risposte e reazioni: la prevedibilità delle risposte è
alla base di una pacifica e regolare convivenza. Prevedibilità
uguale regole. E su queste regole era fondato lo stato, con tutti i
buoni valori di una società civile.
Dopo le prime avvisaglie, vennero i
primi segnali pubblici di allarme: sulla carta stampata
comparvero le prime interviste senza scandali e senza colpe, senza
toni arroganti o disperati... I giornalisti non sapevano più che
scrivere, scoppiavano in lacrime a metà di un’intervista,
rimanevano sempre più spesso a casa in malattia: tanto che si pensò
ad un contagio, ma i sintomi non c’entravano per nulla.
Torniamo alla descrizione della
malattia. Si pensò inizialmente a sintomi fisici – cuore
circolazione pressione – e si ricorse a antibiotici,
chemioterapici e cure omeopatiche. Poi si passò a cercare cause
neurologiche. Da più parti fu invocato anche un supporto
psicologico. E intanto intorno la società si disgregava. Cadde
silenziosamente il governo. La gente non urlava mai, ma
pacatamente parlava.
Se ne andarono in tanti, forse
più che nel 1630. Vi chiederete come sono morti. Non si muore di
gentilezza e di cultura. Non si muore a bassa voce. Infatti nessuno
li vide morire. Furono deportati. Caricati sui camion di notte e
portati via, per essere curati forse in qualche luogo lontano. Non se
n’è saputo più nulla. Non appena si rimetteranno, torneranno qui,
alle loro famiglie, al loro lavoro, ai loro tanti interessi. Così
hanno detto le autorità sanitarie.
A seguito di questi fatti il virus si
indebolì. Un giorno un automobilista si mise a insultare un
altro automobilista, un uomo in coda alle poste manifestò con modi
scortesi il proprio scontento per la lunga attesa, e intanto una
madre trascinava un bambino urlante in direzione della scuola, senza
prestare attenzione alle lamentele del piccolo, e in televisione gli
ospiti si scontravano sugli argomenti più disparati. L’epidemia
era finita. La popolazione era guarita.