venerdì 29 luglio 2016

L'epidemia


L'epidemia

Questa è la storia dell’epidemia che cambiò gli uomini, il mondo, la storia. Apalia, questo è il suo nome. Paragonabile per entità  delle perdite e distruzione di una società solo alla peste del 1630.
All’inizio la sua potenza devastante fu sottovalutata, per questo forse i suoi effetti furono così tragici. Cominciò a manifestarsi e a diffondersi in modo silente e subdolo: la gente iniziò a parlare meno. Sembra un fenomeno banale, può capitare che qualcuno resti in silenzio per qualche ora, o magari anche per qualche  giorno, ma successe a un dato momento che qualcuno se ne accorse e si preoccupò per il comportamento anomalo del figlio, del genitore o del vicino di casa. E non solo si parlava meno, ma si parlava con voce diversa. Un tono di voce basso, pacato. Erano scomparsi i toni corrispondenti all’ira, alla rabbia, alla prepotenza, al disprezzo, alla derisione, all'inganno. Ed era come trapelasse... gentilezza. Certo, la gentilezza non poteva essere considerata un sintomo preoccupante, e non era un male assoluto, ma ci sarebbe molto da argomentare sulle innumerevoli conseguenze della sua diffusione. Intanto si videro cambiare personalità, profili, carattere. I malati non erano più loro, erano corpi svuotati della propria emotività: altri.  Poi era impossibile far conto sulle altrui  risposte e reazioni: la prevedibilità delle risposte è alla base di una pacifica e regolare convivenza. Prevedibilità uguale regole. E su queste regole era fondato lo stato, con tutti i buoni valori di una società civile.
Dopo le prime avvisaglie, vennero i primi segnali pubblici di allarme:  sulla carta stampata comparvero le prime interviste senza scandali e senza colpe, senza toni arroganti o disperati... I giornalisti non sapevano più che scrivere, scoppiavano in lacrime a metà di un’intervista, rimanevano sempre più spesso a casa in malattia: tanto che si pensò ad un contagio, ma i sintomi non c’entravano per nulla.
Torniamo alla descrizione della malattia. Si pensò inizialmente a sintomi fisici – cuore circolazione  pressione – e si ricorse a antibiotici, chemioterapici e cure omeopatiche. Poi si passò a cercare cause neurologiche. Da più parti fu invocato anche un supporto psicologico. E intanto intorno la società si disgregava. Cadde silenziosamente  il governo. La gente non urlava mai, ma pacatamente parlava. 

Se ne andarono  in tanti, forse più che nel 1630. Vi chiederete come sono morti. Non si muore di gentilezza e di cultura. Non si muore a bassa voce. Infatti nessuno li vide morire. Furono deportati. Caricati sui camion di notte e portati via, per essere curati forse in qualche luogo lontano. Non se n’è saputo più nulla. Non appena si rimetteranno, torneranno qui, alle loro famiglie, al loro lavoro, ai loro tanti interessi. Così hanno detto le autorità sanitarie.
A seguito di questi fatti il virus si indebolì. Un giorno un automobilista si mise a insultare un  altro automobilista, un uomo in coda alle poste manifestò con modi scortesi il proprio scontento per la lunga attesa, e intanto una madre trascinava un bambino urlante in direzione della scuola, senza prestare attenzione alle lamentele del piccolo, e in televisione gli ospiti si scontravano sugli argomenti più disparati. L’epidemia era finita. La popolazione era guarita.

mercoledì 6 luglio 2016

Il primo uomo sulla luna


Affondo piano un piede, il destro per la precisione, in una nuvola di polvere magica. Mi viene da tossire, ma è suggestione. Ho l’allergia, ma non fa differenza se si è blindati in questo scafandro.
Sono felice. Non ho altre parole. E’ il giorno che sogno da anni, da decenni! Ho studiato e faticato negli  allenamenti senza tregua, rinunciando a tutto: ai divertimenti, alle amicizie, agli amori, alla famiglia, a carriere facili e remunerative. Non mi importa niente: sono qui, luna, e il primo passo è il mio.  Le lacrime, non ci volevano, appannano il vetro dello scafandro.
Com’è morbida la luna: polvere, cipria, nuvola... Pensavo in verità ad una crosta dura, piena di solchi, come il fango essiccato dopo un’estate senza pioggie nella mia infanzia in campagna. Invece questa infinita morbidezza è proprio quel che volevo. È dolcezza, è accoglienza. Vorrei anzi coricarmi in questa polvere tanto desiderata, e vorrei rotolarci dentro, alla faccia dell’allergia.
Ma sono uno scienziato, un ingegnere spaziale, tutto questo romanticismo è fuori posto.
Ritorno in me, ora che tanta felicità ha dato un senso a tutta la mia vita. 
Mi guardo intorno: una pianura piatta e uniforme, resa irregolare solo da buchi tondi: luna luna, sei una ridicola gruviera? Questo mi fa un po’ ridere.
Allontano lo sguardo: ecco i monti, spogli e grigi come la pianura. Ma ci sono ombre che si spostano: c’è qualcuno là? Ehi, ci siete, rispondete! Sbucate fuori!  Possiamo essere amici! Vengo dalla terra e sono felice di essere qui. Vengo in amicizia. Voglio sapere di voi e voglio raccontarvi di me, che da una vita studio e lavoro per essere qui in questo istante.
Le ombre si spostano ma nessun essere vivente esce  dalle rocce grigie.
Certo, è comprensibile la diffidenza.
Il cielo è azzurro tenue chiarissimo. Il mio sguardo, affaticato dalla tanta emozione e dalla mancanza di risposte, si perde nel blu.
La  felicità dura pochi secondi. L’evento - il primo passo sulla luna – in un attimo è compiuto. Si torna sulla terra.  Chissà se sulla terra si saprà di me! Ma non importa...
Ora sono di nuovo sull’astronave, torno alla guida.  La felicità è già meno intensa, ci si abitua.

Controllo l’ora: 3 marzo 1969, ore 10.21.  Metto in macchina le coordinate per il ritorno, poi mangerò qualcosa e prenderò una pastiglia. Ma guarda te se dovevano venirmi le mestruazioni proprio oggi...