venerdì 11 agosto 2017

Il canto

Abbiamo diviso un po’ di vita
Nell’estate del 2013
Come fosse  oggi.
Abbiamo diviso i caffè, quando non avevamo più monetine,
pizza della panetteria e caramelle, quando veniva mia figlia a portarle,
abbiamo parlato del nulla,
e riso, abbiamo riso tanto.
Sì spesso ridevamo
in ospedale e poi in clinica.
Io veramente non mi ricordo di te  in ospedale,
ero troppo rintronata.
Mi hai detto che  una volta avevo cercato di coricarmi nel tuo letto...
- Sicuramente ti eri sbagliata,  dormivi in piedi...
- Scemo, puoi essere mio figlio... potevi.
In clinica poi parlavamo tanto, del nulla, anche con gli altri,
ma io e te eravamo amici, qualcosa ci legava.
Non abbiamo mai parlato del perchè eravamo lì,
fa male,
e poi non si usa.
E poi non serve.
Siamo andati  un giorno a messa,
abbiamo aspettato per giorni quel momento.
Come vestirci? Avevamo solo pigiami.
Comunque siamo andati.
E hai cantato.
Cantavi così bene,
con voce da tenore.
Cantavi e non cercavi il consenso,
eri serio e concentrato,
Pensavo che ti avrebbe salvato quel canto.
Ma non ti ha aiutato quel dio.
Ti ho visto diverse volte dopo il ricovero,
ingrossato e gonfio,
due parole, come stai...
stavamo male, e ognuno si teneva il suo male.
La mia amicizia poteva tornare quella di allora, ma non ho fatto niente.
In verità avevi tanti amici, a cui manchi, ma non hanno vissuto il  nostro tarlo.
Potevo fermarti, parlarti,  parlare e ridere, dire la  focaccia non la mangio tutta, avanza, tieni. Ma non l’ho fatto. Penso a tutte le telefonate non fatte, e vado a cercare l’agendina di due anni fa. E penso a tutte le telefonate non ricevute. Ma a  qualche telefonata non fatta posso rimediare. Comincerò dalla signora che aveva paura di fare la doccia. Ti ricordi come la prendevamo in giro? Domani la chiamo. La ragazza carina che diceva di fare sesso a pagamento, te la ricordi? Faceva poi la cameriera. Mi ha passato un sacco  di ricette di cucina. Ho provato a cercarla, ma ha cambiato numero di cell. E’ quella che è scappata dalla clinica dopo che sono tornata a casa, si trovava bene solo con me.
Tu stai bene, lo so, non c’è  bisogno di parlare.
Niente baci, non era nelle nostre abitudini. Un pezzo di pizza, quella di sandroni, ti va?


sabato 20 maggio 2017

Città invisibile

Lo so, avete ragione, non ho completato il mio discorso – comizio. Ma non so se voglio ancora diventare sindaco. Troppo complicato, troppe cose da fare. Ma dove andate? Tornate qui. Avrei un’ idea migliore. Non sbuffate,  è interessante.
Ho pensato tanto al nome del progetto: Città invisibile. E’ il titolo di un libro? Boh, io l’ho trovato su internet.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone. Italo Calvino, Le città invisibili, 1972
Allora, la città invisibile è la città della bellezza, bellezza invisibile perchè nascosta, perchè passa inosservata... pensiamo che non c’è  bellezza qui, ma forse non è vero: è che non siamo attenti, siamo presi da tanti pensieri, magari brutti pensieri, e abbiamo fretta, e non abbiamo abitudine alla bellezza, dato che non ce n’è mica tanta... Ecco, questa era la premessa, arrivo...
Voglio una raccolta di tutta la bellezza di questa città, cioè foto e testi. Devono rappresentare bei luoghi, monumenti, arte, natura, e le persone che li vivono (non lì vivono, intendo dire: che vivono dentro e animano questi luoghi). E le cose piccole, in ombra, che durano un attimo e scompaiono, gentilezze e gesti amichevoli inaspettati.  Faremo un libro, o meglio un sito internet, o un’esposizione, un qualcosa... Queste testimonianze devono avere lo scopo di comunicare bellezza - scusate se mi ripeto – e di trasferire e condividere la gioia di vivere qui. E la gente potrebbe, vedendo le nostre foto e leggendo i nostri testi, imparare a guardare con altri occhi. Sì, la bellezza si impara...

Ma perchè mi dite “che ne sai tu?” io ho letto un sacco di cose su internet e... ma dove andate, non ho finito... volevo dire che è bello stare con voi, che è bello che qualcuno mi ascolti...

venerdì 12 maggio 2017

Il nuovo sindaco


 - E’ una settimana che sto qui, sono proprio stufo. Si legge, si parla, si riflette... ma ora basta. Voglio fare qualcosa di pratico, qualcosa di importante, di utile, qualcosa di divertente, questo è certo, ma soprattutto qualcosa di difficile, se no il divertimento non c’è. Ascoltate. Siete i miei amici. E quindi  miei collaboratori..
- ?
- Mi candido a sindaco. Non avete capito. Mi candido a sindaco. Perchè fate quelle facce? Sveglia, su, un po’ di vita. In questa città è una noia mortale. E in questo ospedale, non parliamone. Posso avere un po’ di attenzione, che diamine... 
Allora, mi candido. Cosa? Se ho una lista? No che non ce l’ho, ho deciso mezz’ora fa di candidarmi... ma che problema c’è? Neanche il presidente francese ha una lista... 
Il problema non  è la lista, è il programma, E’ mezz’ora che ci penso, e ci sono ancora dei grossi buchi. Ma conto sul vostro aiuto. Che dici Paolo? Esci domani? Non fa niente, comincia a aiutare ora.
Allora, concentriamoci sugli obiettivi primari. Che hai detto tu? Come parlo? Un sindaco parla così.
Dicevo, come prima cosa bisogna mirare al rilancio economico, al sociale e alla cultura ci pensiamo dopo.  Allora, la rinascita economica... son cazzi. Questa città è un osso spolpato, non ci sono iniziative nè risorse. Io sarò anche un buon sindaco, ma i miracoli ancora non li so fare.  Come possiamo stimolare nuove iniziative economiche e nuovi posti di lavoro?  Tenete conto che questo è un punto delicato, su cui si concentra l’attenzione generale. Insomma, qui ci giochiamo tutto!
Che dici Paolo? Il progetto della rilocalizzazione degli esercizi commerciali...  non l’abbiamo mai utilizzato, è ancora valido. Bravo, osservazione pertinente. Ma non basta.
Cosa ne dite se assumiamo dei consulenti in grado di favorire l’innovazione e la riconversione di aziende in difficoltà. Sarebbe un servizio gratuito, sì gratuito, tanto quando le attività riprendono a girare pagheranno ben delle tasse...
Non basta.
Che attività possiamo incentivare?
Allora commercio servizi artigianato...
Trovato: cerchiamo nuovi incentivi per avvio attività:
mettiamo a disposizione  edifici inutilizzati per far insediare attività, cercando di affiancare imprese compatibili. Esempio: commercialista, esperto di informatica, consulente di qualcos’altro. Così si può fare con artigiani, commercianti... Così si creano delle sinergie e non si è più strozzati dagli affitti, restano a carico solo le spese vive. Tanto abbiamo un sacco di edifici vuoti, che ce ne facciamo.
Scrollate la testa. Che dite, è un’idea di... Il mercato  non consente nuove aperture? Ci penseremo. Io non sono così scettico: non pagando l’affitto è possibile lavorare a prezzi conpetitivi. Certo che sono proprio un bravo sindaco! Ma cosa applaudite, arrivano gli infermieri.
L’agricoltura: qui mi impegnerò molto. Roba di qualità, biologica, come va di moda adesso. Fornirò anche qui dei consulenti... Quanti posti di lavoro! Un eccellente sindaco di sinistra. Scusate, siamo di sinistra? Boh.
Devo trovare degli assessori. Non so quanti. Se vi va... Non posso fare tutto io.
E’ impegnativo fare il sindaco: sapete mica  per quanto tempo devo rimanere ancora in carica? Io sarei già stanco.
Dimenticavo il turismo. Sinora trascurato. Nessun turista viene qui, ma dando una bella ripulita, la città non è poi male. Magari metto qualche fontana, un po’ di verde, statue, fiori... Che dite, l’hanno già fatto i miei predecessori... non me n’ero accorto.  Dai, pagheremo un architetto e qualcosa si fa. E questo è il punto di partenza: daremo incentivi per “bed and breakfast” ameni, ma soprattutto cercheremo i contatti giusti nel turismo internazionale.
Giulia, stai scrivendo? Mi sembrava ti stessi addormentando. Ok, ok. 
Direi che l’economia così è a posto. La cultura ha bisogno di iniziative originali e buona comunicazione, e luoghi di aggregazione.
Cosa state dicendo, arriva la cena?
Ok, è ora,  andiamo, ho fame anch’io.
Resta il sociale, lo sistemiamo dopo cena, ricordatemelo.
Cosa c’è da mangiare stasera? Di nuovo riso in bianco.... Potrebbero ingegnarsi un po’ anche i cuochi dell’ospedale, riso in bianco al sindaco...
 Ah, le terapie, sì, ora vi raggiungo...


mercoledì 1 marzo 2017

Una vita come una raccolta di bollini

Una raccolta di bollini: così mi sembra la mia vita oggi. E la vita di tanti altri, che forse non lo sanno. E non sanno quanto sono importanti le raccolte di bollini.
Faccio la spesa all’esselunga. L’esselunga non mi piace, ha corridoi troppo lunghi, prende un sacco di tempo, c’è troppa gente, troppa gente che conosco. Assai meglio l’unes vicino a casa, in dieci minuti  prendi  cibo x cani frutta pizze surgelate, tutto insomma. Ma c’è una differenza significativa: all’esselunga c’è la raccolta punti, e all’unes no. Ora  spengo il pc e guardo sul catalogo che regalo posso prendere, ora che  ho superato forse  i 3500 punti. Io non ho mai punti per regali importanti, compro poco, ma ieri è stato un giorno fortunato: il tipo che era alla cassa prima di me aveva dimenticato a casa la tessera, e non poteva usufruire degli sconti… era dispiaciuto. E la cassiera ha detto: magari qualcuno gentilmente gliela presta. Certo, c’ero io. Mica per generosità. 115 punti mi ha reso quel tipo distratto! Aveva un carrello stracolmo…
Ho ricevuto alcuni segnali… che mi hanno fatto pensare che la vita è tutta così, intendo tutta una raccolta punti. Famiglia, amori,  lavoro… Per ogni cosa che dai, un bollino. Ma devi dare sempre di più, e volere sempre piùbollini-
Una volta non sono arrivata a ritirare il mio regalo perché la raccolta era finita. Scaduta. Che delusione!

Controllando bene i punti ora non sono 3500, sono solo 3499.  Manca sempre un bollino. Pazienza, butto a terra il catalogo dell’esselunga, e mi rannicchio al caldo sotto le coperte, e mi guardo un altro telefilm di quelli in cui muore un sacco di gente senza riempirti di ansia. Ok, anche per oggi niente premio, e forse il tempo è scaduto anche questa volta, non so bene. Magari è scaduto anche per tutto il resto, la vita intendo... Pazienza, il telefilm non è poi male. 

lunedì 6 febbraio 2017

Le parole dell'infanzia

La prima parola che mi viene in mente è “devi”. Era un dover fare delle cose materiali, il mantenere un comportamento consono alle situazioni, e anche un imperativo morale. Mia madre diceva devi...
Era normale così, era il preludio di una vita etica e conforme alle regole, ma un po’ triste come triste era lei, mia madre.
Continuo a dire devo, devi... anche se mi controllo e non lo dico e lo penso solo, o magari dico dovresti... ma ce l’ho nella testa con un meccanismo così automatico che non me ne rendo conto.
Non so se questo devi è bene o male, è e basta. Mica sempre obbedivo e obbedisco a quest’imperativo, ma la ribellione è come il dovere una lesione della libertà. Credo di non aver superato tutto questo, intendo questo binomio obbedienza – ribellione. 
Non riesco a ricordare altre parole della mia infanzia e nessuno me le può ricordare. Ricordo però alcune esprossioni di mia figlia piccolissima. Ricordo di quando voleva lavare i piatti e io cercavo di dissuaderla, dicendo “sei piccola, è troppo difficile” (aveva meno di due anni); lei, in piedi su di una sedia di fronte al lavello) rispondeva contrariata “io voglio fare le cose difficili!”. E queste parole mi sono rimaste impresse, come qualcosa di enormemente profondo. E ricordo di quella volta che al mare mentre mangiava uno jogurt ha osservato: perche tu dici che lo jogurt è buono e la zia dice che fa schifo? - Le due fonti erano ambedue attendibili... Quante verità sul mondo in uno jogurt! Verità assolute e relative... Non so se possano esserci separazioni nette tra le parole che ricordo: mia figlia dice che non ha potuto sottrarsi alla scomoda eredità, che anche lei si tira dietro molti “devi”. E’ vero anche che io ho la mia dose di piatti da lavare e jogurt da assaporare, a volte buoni e a volte no.
Scusate, ora devo andare, devo dar da mangiare al cane e ai gatti. Devo proprio...