lunedì 6 febbraio 2017

Le parole dell'infanzia

La prima parola che mi viene in mente è “devi”. Era un dover fare delle cose materiali, il mantenere un comportamento consono alle situazioni, e anche un imperativo morale. Mia madre diceva devi...
Era normale così, era il preludio di una vita etica e conforme alle regole, ma un po’ triste come triste era lei, mia madre.
Continuo a dire devo, devi... anche se mi controllo e non lo dico e lo penso solo, o magari dico dovresti... ma ce l’ho nella testa con un meccanismo così automatico che non me ne rendo conto.
Non so se questo devi è bene o male, è e basta. Mica sempre obbedivo e obbedisco a quest’imperativo, ma la ribellione è come il dovere una lesione della libertà. Credo di non aver superato tutto questo, intendo questo binomio obbedienza – ribellione. 
Non riesco a ricordare altre parole della mia infanzia e nessuno me le può ricordare. Ricordo però alcune esprossioni di mia figlia piccolissima. Ricordo di quando voleva lavare i piatti e io cercavo di dissuaderla, dicendo “sei piccola, è troppo difficile” (aveva meno di due anni); lei, in piedi su di una sedia di fronte al lavello) rispondeva contrariata “io voglio fare le cose difficili!”. E queste parole mi sono rimaste impresse, come qualcosa di enormemente profondo. E ricordo di quella volta che al mare mentre mangiava uno jogurt ha osservato: perche tu dici che lo jogurt è buono e la zia dice che fa schifo? - Le due fonti erano ambedue attendibili... Quante verità sul mondo in uno jogurt! Verità assolute e relative... Non so se possano esserci separazioni nette tra le parole che ricordo: mia figlia dice che non ha potuto sottrarsi alla scomoda eredità, che anche lei si tira dietro molti “devi”. E’ vero anche che io ho la mia dose di piatti da lavare e jogurt da assaporare, a volte buoni e a volte no.
Scusate, ora devo andare, devo dar da mangiare al cane e ai gatti. Devo proprio...