giovedì 27 ottobre 2016

Alice e il mostro



Alice non aveva mai saputo cosa fosse la paura. Era una fanciulla molto coraggiosa: spesso andava a trovare clienti che vivevano lontano dal villaggio e si dilungava in chiacchiere fino a sera; tornava col buio, percorrendo sentieri impervi e solitari, attraversando boschi popolati da animali di ogni genere. Mentre camminava sulla via del ritorno aveva la mente presa da botteghe da avviare e giovani squattrinati da far sposare, e da castelli cadenti da rimettere insieme. Non aveva paura, non aveva tempo per la paura...
Finchè una sera la paura arrivò. Scendeva dalla collina ripassando mentalmente gli impegni del giorno dopo, quando vide una sagoma  nera dietro un cespuglio e sentì un sibilo, come un soffio di vento. Proseguì spavalda, dicendo tra sé che non era nulla, tornando al pensiero del castello da ristrutturare: bisognava controllare i preventivi e chiamare il perito... Ma il cuore batteva più forte.
Era l’imbrunire, non poteva trattarsi di un’ombra... non poteva essere un orso o un lupo, la macchia nera era enorme. Avanzò cauta, e l’ombra scomparve.
Alice pensò che forse si sbagliava – eppure non si sbagliava quasi mai – e tornò al pensiero dei risparmi dell’oste  da amministrare, e del libretto per il bimbo del verduriere. Forse pensava troppo, e la mente stanca credeva di vedere... inventava...
Ritrovò l’ombra nera altre volte e nei luoghi più diversi e inaspettati. Si disse: io non ho paura. E lo ripetè più volte. E così si accorse  di aver paura.
La sensazione era per lei cosa nuova. Intanto non sapeva di chi o cosa aveva paura. Che poteva succederle? Il mostro poteva imprigionarla, come Barbablu, e poi ucciderla. Poteva portarla nella sua dimora come serva. Poteva mangiarla. Ma com’era fatto? In verità non l’aveva neppur visto. Poteva trattarsi di un orco enorme dalla pelle verdastra e squamosa, di una strega cenciosa, con naso adunco e denti gialli, o di un drago che sputa fiamme... Il mostro non le aveva - ancora -  fatto nulla, salvo attenderla appostato dietro case o alberi. Ma era proprio l’attesa di quel che l’aspettava a toglierle il passo saltellante, il sorriso, la chiacchiera allegra e impertinente, la vivace curiosità. Se ne stava al suo tavolo di lavoro,  appoggiata a un libro contabile, con espressione buia e annoiata. I clienti si affacciavano al negozio, e vedendola così triste se ne andavano, ritenendo opportuno lasciarla sola, rimandando lamentele su pos malfunzionanti, estratti conto in ritardo e sinistri da denunciare - tutto ciò poteva attendere -. Erano  comunque preoccupati, non era mai successo di vedere Alice malinconica. Alice era sempre Alice, col bel e brutto tempo, con la crisi dei mercati e con i provvedimenti avversi del sovrani. Cosa poteva provocare un simile cedimento? Era malata?  E se fosse semplicemente innamorata? Un amore non ricambiato?
Un mattino la lattaia, prima cliente del mattino, trovò la porta chiusa, e neppure un cartello!
Malata, possibile? Non era mai successo. Tutti in paese erano preoccupati. Il fornaio prese a portarle panini con forme buffe per farla ridere ogni mattina, il fiorista una rosa, il bottegaio i frutti più dolci... Dopo sette lunghi giorni si alzò, prese la sua valigetta e, come niente fosse,  si avviò al lavoro, sotto lo sguardo stupito dei bottegai del paese.
Mentre si dirigeva alla fattoria – il fattore voleva comprare un cavallo per i lavori nei campi, e gli serviva un prestito – passò davanti alla caverna. E non resistette alla tentazione di gettare uno sguardo...
L’ombra era lì ad aspettarla.
-          Chi sei? Io sono Alice
-          Aliceeee...
-          Ti prendi gioco di me. Io sono Alice. Vuoi dire che tu sei una parte di me?
-          Tu sei una parte di meeee.    
-          Ma io non ho paura di nulla.
L’ombra fece sventorare braccia nodose e rinsecchite,che terminavano in dita artigliate
Alice cacciò un urlo.
-          Allora, non hai paura?
Dall’ombra emergeva ora un viso rugoso e scavato, con occhi tristissimi e capelli ispidi. Lo squadrò meglio: il corpo era magro e contorto, senza abiti.
Arretrò qualche passo, poi diede fondo alle proprie risorse.
-          Ma tu scusa, dove vivi, in questa caverna? Non ti offendere, è messa assai male.
-          Trovi? Nessuno me l’ha mai detto.
-          Certo. E’ umida e sporca, devi farci qualche lavoro. E poi magari renderla un po’ carina con dei mobili. Va’ dal falegname, giù in paese... Potrei farti un piccolo prestito. Tu lavori?
-          Io?
-          Beh, qualcosa devi pur fare nella vita, ma cosa? Ora che ci penso... e’ arrivato il circo: potresti fare uno spettacolo di paura. Ti ci vedo bene. Ti pagherebbero.
-          La gente avrebbe paura di me?
-          Certo. Tremerebbe e riderebbe.
-          Poi dovresti cominciare a prenderti cura della tua salute, scusa se mi permetto. Hai un colorito! Hai la mutua? No? Allora ti faccio una bella assicurazione malattia, poi magari anche quella sugli infortuni, ci vuole se vai a lavorare al circo, e poi la rc personale, capitasse di far male a qualcuno. Un mostro non può non avere una rc! Spero quadagnerai bene al circo. Ma la paura serve anche in altri ambienti dove ci sono tante persone, il lavoro non ti mancherà. La paura serve.
-          Oh! La paura serve?
-          Vedrai che non avrai problemi a pagare i premi delle assicurazioni e le rate del prestito.
Scusa, scostati un attimo. Questa caverna è proprio un disastro: infiltrazioni di acqua e massi che si staccano... ci vuole assolutamente l’assicurazione sulla caverna.
Cosa dici? La carta di credito. Non se ne parla. Sinora non ti sei comportato così bene, sempre in giro a spaventare la gente. Al limite un bancomat. Hai l’adsl nella caverna? Ok, ti preparo i codici per lavorare su internet. Così eviti di venire in negozio, mi spaventeresti tutti i clienti. 
Poi penseremo a mettere da parte qualcosa, risparmi sì, perchè mica puoi far paura al mondo per  tanto tempo, e se poi il circo ti caccia  come paghi i miei prestiti e le mie polizze? Mi chiedi perchè la paura finirà? La gente si abitua alla paura e anche ai mostri, poi i mostri sono roba da tempi di crisi, con la ripresa non vanno più. Dimenticavo: fondo pensione? Come immaginavo, non sai neppure cos’è. Che disastro! Quanto lavoro!
Si allontanò borbottando... Prestito, assicurazione sulla casa, poi asscicurazioni salute famiglia infortuni. Un piccolo piano di risparmio. Fondo pensione, certamente. Assicurazione auto, no,  l’auto non ce l’ha, peccato... Bisognava dire una parola buona al padrone del circo, chissà se l’avrebbe preso... doveva prenderlo, altrimenti tutte queste polizze e prestiti e piani di risparmio chi li pagava? Non aveva forse calcato troppo la mano con le vendite?
-          Un mutuo! Certo, ora che hai un lavoro ti ci vuole una casa, una famiglia  e una vita regolare... Cos’è questo sibilo... una casa, una famiglia, ti tocca...

Se ne andò camminando ben ritta, con andatura decisa, lasciando dietro di sè l’ombra scura. Se ne tornava a casa soddisfatta per ever fatto anche oggi un buon lavoro.
Ora che la luna illuminava la radura si vedeva chiaramente alle sue spalle  un albero rinsecchito e contorto, scosso dal vento, i cui rami sembravano davvero braccia  levate al cielo.
E il mostro, e l’ombra? Quale mostro, quale ombra? Non c’erano, non c’erano mai stati. O forse erano nella mente di Alice. Il buio, il vento e l’eco nella caverna avevano fatto il resto.
Ma per fortuna, trovando tutte le soluzioni ai problemi della vita del mostro - il mostro che non c’era - la paura era svanita.

Unico essere vivente ad essistere alla scena fu uno scoiattolo,  allibito alla  vista  della fanciulla che parlava da sola: prima timida e tremante, poi amorevole e dedita a buoni consigli, infine  ardita e financo un po’ prepotente, come chi sa cosa è bene per gli altri e decide per il loro avvenire.  
Corse veloce nella sua tana, prima che Alice si fosse guardata alla spalle nuovamente, per importunarlo con un’assicurazione o con un mutuo. Non sapeva cos’erano, ma non ne sentiva affatto la mancanza, e dalle follie degli uomini preferiva stare alla larga.


venerdì 21 ottobre 2016

Diversi

Uscivano ogni mattina con la tavoletta da surf. Rientravano per le 12.
Oggi c’è stato un temporale improvviso. Sono rientrati tutti, tranne uno.
Il tempo è cambiato repentinamente, nessuno si senta in colpa.

Il ragazzo stava sulla poltrona di finta pelle e mangiava patatine bevendo coca cola. Glieli aveva portati lo zio della ragazza insistendo per comprargli altro. Ma lui voleva solo patatine, era una vita che non ne mangiava. Una mano unta pescava nel sacchetto, e l’altra stringeva la mano della ragazzina .
Sapeva perchè questo gesto la rassicurava. Conosceva bene la paura per le onde alte. Lui le parlava e la consolava e la tranquillizzava. In verità non le parlava, no, pensava, ma sapeva che lei lo sentiva. E infatti migliorava di ora in ora. E infatti i medici e i genitori di lei lo lasciavano stare lì, anche se non si poteva, perchè sentivano che lei stava meglio. 
L’aveva salvata. L’aveva trovata sulla spiaggia e si era messo a urlare. Le aveva girato il viso da una parte, come aveva visto fare mille volte. Nient’altro. 
Lui non aveva voglia di tornare al centro di accoglienza, gli andava di aiutare una come lui, la ragazzina bionda vittima del mare, e di mangiare patatine.

mercoledì 7 settembre 2016

Api

L’ape regina si svegliò dal brutto sogno, col respiro ansimante, le ali tremolanti e il cuore in gola. Aprì  gli occhi con cautela, e quando  vide che l’alveare era lì, pulito e ordinato come sempre, si tranquillizzò un po’.
Il sogno era finito. Si tornava alla vita di tutti i giorni. Ma mentre si sollevava per stirarsi le ali rivedeva le immagini inquietanti di insetti che volavano via dall’alveare, in un gran bisbigliare e parlottare. Frasi sconnesse arrivavano a lei: non è più di moda il miele, non piace più, l’ho sentito dire da un sacco di insetti... ilmio mele è amaro, possibile?...  non serve il mio lavoro, non serve a nulla il miele: basta una barbabietola al posto di un’ape... non trovo fiori, cambiano le stagioni... le mie ali sono deboli, non mi reggono più... non ricordo, dio mio, non ricordo come si fa il miele... sono sola, sempre lavorare, sola... non è più  buono come una volta... perchè a nessuno interessa più del volo, del cielo, del sole, dei fiori... api inutili... so come fare, ma le ali non vanno, prendo lo slancio e cadogiù... il mondo può fare a meno di me... non voglio essere solo utile, voglio essere bella, la bellezza del volo, si sa, nessuno l’apprezza più... sono malata, mi fa male la schiena e non riesco a volare... le margherite mi fanno starnutire, sarò allergica...
Nel sogno le api tristi e malate se ne andavano, abbandonando il loro dolce mondo. E la regina nel sogno non capiva cosa causasse l’abbandono. Certo, aveva avuto molti problemi con loro: il miele era poco, troppo poco, e non aveva il profumo di una volta! Le sue operaie dovevano fare solo quello, il miele! Chissà perchè, non ci riuscivano più, nonostante  minacce, pressioni e derisioni. Perchè, perchè, non si sa. Sciocche, fannullone, basta  che una si lamenti e tutte dietro...
Mentre era assorta in questi pensieri, cominciò a sentire dei rumori. Ecco, tornano!..
Arrivarono invece le formiche, in cerca di una casa.  Grande e ospitale! Tutta per loro. Gli sgraziati animaletti.accomunati alle api solo dal senso di comunità, occuparono in un battibaleno le stanze e i corridoi e  le cellette. Portavano con sè grano, erba ammuffita,  terriccio e sterco, che andavano stipando nelle cellette.
Che fate? Cos’è quella robaccia? Lì ci mettiamo il miele! E  quelle stanzette sono per le api, torneranno!
Scrollando  le spalle la regina delle formiche rispose: a noi serve metter via grano e erba per  l’inverno... Del miele non sappiamo che farcene. E il mondo in generale non sa che farsene: c’è lo zucchero... E non serve spazio per le api, non torneranno. Le ho viste non distanti da qui, nel  roseto, che giocavano e danzavano e ridevano in compagnia di libellule, farfalle, lucciole, grilli: una gran festa fatta di luci, musica, canti, colori... quanta bellezza... Sembrava che ridessero le tue api: ma ridono le api? Come vorremmo essere anche noi aggraziate, e volare, e danzare nell’aria insieme a tante creature belle... L’idea delle sue operaie che cantavano e ballavano diede il colpo di grazia all’ape regina.
Vedeva ora tutto nero intorno... era forse la tremenda arrabbiatura, o tutte quelle formiche che riempivano e annerivano ogni piccolo spazio nell’alveare.

Al risveglio...  un bel sospiro di sollievo. Chiamò le api, le chiamò ripetutamente, ma tardavano ad arrivare.  Dove siete... su, venite, non sono più arrabbiata con voi, anche se il miele è poco, e voi, come api continuate a non valere molto... Attendeva sola, in silenzio, ma uno strano solletico turbò tanta serenità. Un pizzicorio....sì, un formicolio... su per la schiena... 

venerdì 29 luglio 2016

L'epidemia


L'epidemia

Questa è la storia dell’epidemia che cambiò gli uomini, il mondo, la storia. Apalia, questo è il suo nome. Paragonabile per entità  delle perdite e distruzione di una società solo alla peste del 1630.
All’inizio la sua potenza devastante fu sottovalutata, per questo forse i suoi effetti furono così tragici. Cominciò a manifestarsi e a diffondersi in modo silente e subdolo: la gente iniziò a parlare meno. Sembra un fenomeno banale, può capitare che qualcuno resti in silenzio per qualche ora, o magari anche per qualche  giorno, ma successe a un dato momento che qualcuno se ne accorse e si preoccupò per il comportamento anomalo del figlio, del genitore o del vicino di casa. E non solo si parlava meno, ma si parlava con voce diversa. Un tono di voce basso, pacato. Erano scomparsi i toni corrispondenti all’ira, alla rabbia, alla prepotenza, al disprezzo, alla derisione, all'inganno. Ed era come trapelasse... gentilezza. Certo, la gentilezza non poteva essere considerata un sintomo preoccupante, e non era un male assoluto, ma ci sarebbe molto da argomentare sulle innumerevoli conseguenze della sua diffusione. Intanto si videro cambiare personalità, profili, carattere. I malati non erano più loro, erano corpi svuotati della propria emotività: altri.  Poi era impossibile far conto sulle altrui  risposte e reazioni: la prevedibilità delle risposte è alla base di una pacifica e regolare convivenza. Prevedibilità uguale regole. E su queste regole era fondato lo stato, con tutti i buoni valori di una società civile.
Dopo le prime avvisaglie, vennero i primi segnali pubblici di allarme:  sulla carta stampata comparvero le prime interviste senza scandali e senza colpe, senza toni arroganti o disperati... I giornalisti non sapevano più che scrivere, scoppiavano in lacrime a metà di un’intervista, rimanevano sempre più spesso a casa in malattia: tanto che si pensò ad un contagio, ma i sintomi non c’entravano per nulla.
Torniamo alla descrizione della malattia. Si pensò inizialmente a sintomi fisici – cuore circolazione  pressione – e si ricorse a antibiotici, chemioterapici e cure omeopatiche. Poi si passò a cercare cause neurologiche. Da più parti fu invocato anche un supporto psicologico. E intanto intorno la società si disgregava. Cadde silenziosamente  il governo. La gente non urlava mai, ma pacatamente parlava. 

Se ne andarono  in tanti, forse più che nel 1630. Vi chiederete come sono morti. Non si muore di gentilezza e di cultura. Non si muore a bassa voce. Infatti nessuno li vide morire. Furono deportati. Caricati sui camion di notte e portati via, per essere curati forse in qualche luogo lontano. Non se n’è saputo più nulla. Non appena si rimetteranno, torneranno qui, alle loro famiglie, al loro lavoro, ai loro tanti interessi. Così hanno detto le autorità sanitarie.
A seguito di questi fatti il virus si indebolì. Un giorno un automobilista si mise a insultare un  altro automobilista, un uomo in coda alle poste manifestò con modi scortesi il proprio scontento per la lunga attesa, e intanto una madre trascinava un bambino urlante in direzione della scuola, senza prestare attenzione alle lamentele del piccolo, e in televisione gli ospiti si scontravano sugli argomenti più disparati. L’epidemia era finita. La popolazione era guarita.

mercoledì 6 luglio 2016

Il primo uomo sulla luna


Affondo piano un piede, il destro per la precisione, in una nuvola di polvere magica. Mi viene da tossire, ma è suggestione. Ho l’allergia, ma non fa differenza se si è blindati in questo scafandro.
Sono felice. Non ho altre parole. E’ il giorno che sogno da anni, da decenni! Ho studiato e faticato negli  allenamenti senza tregua, rinunciando a tutto: ai divertimenti, alle amicizie, agli amori, alla famiglia, a carriere facili e remunerative. Non mi importa niente: sono qui, luna, e il primo passo è il mio.  Le lacrime, non ci volevano, appannano il vetro dello scafandro.
Com’è morbida la luna: polvere, cipria, nuvola... Pensavo in verità ad una crosta dura, piena di solchi, come il fango essiccato dopo un’estate senza pioggie nella mia infanzia in campagna. Invece questa infinita morbidezza è proprio quel che volevo. È dolcezza, è accoglienza. Vorrei anzi coricarmi in questa polvere tanto desiderata, e vorrei rotolarci dentro, alla faccia dell’allergia.
Ma sono uno scienziato, un ingegnere spaziale, tutto questo romanticismo è fuori posto.
Ritorno in me, ora che tanta felicità ha dato un senso a tutta la mia vita. 
Mi guardo intorno: una pianura piatta e uniforme, resa irregolare solo da buchi tondi: luna luna, sei una ridicola gruviera? Questo mi fa un po’ ridere.
Allontano lo sguardo: ecco i monti, spogli e grigi come la pianura. Ma ci sono ombre che si spostano: c’è qualcuno là? Ehi, ci siete, rispondete! Sbucate fuori!  Possiamo essere amici! Vengo dalla terra e sono felice di essere qui. Vengo in amicizia. Voglio sapere di voi e voglio raccontarvi di me, che da una vita studio e lavoro per essere qui in questo istante.
Le ombre si spostano ma nessun essere vivente esce  dalle rocce grigie.
Certo, è comprensibile la diffidenza.
Il cielo è azzurro tenue chiarissimo. Il mio sguardo, affaticato dalla tanta emozione e dalla mancanza di risposte, si perde nel blu.
La  felicità dura pochi secondi. L’evento - il primo passo sulla luna – in un attimo è compiuto. Si torna sulla terra.  Chissà se sulla terra si saprà di me! Ma non importa...
Ora sono di nuovo sull’astronave, torno alla guida.  La felicità è già meno intensa, ci si abitua.

Controllo l’ora: 3 marzo 1969, ore 10.21.  Metto in macchina le coordinate per il ritorno, poi mangerò qualcosa e prenderò una pastiglia. Ma guarda te se dovevano venirmi le mestruazioni proprio oggi...        

martedì 21 giugno 2016

Comunico ufficialmente a me stessa e al mondo che riprendo a scrivere.
Il blocco dello scrittore, che permaneva da ormai tre anni, si è inspiegabilmente risolto in occasione alla partecipazione all'evento "letti di notte". Comunque tranquilli, non siete obbligati a leggermi...

domenica 27 marzo 2016

Il fiore


Non si sa com’è successo. Ma è successo. Un bel giorno di primavera è diventata un fiore. Prima di quel giorno era una ragazza, una bella ragazza. Sempre un po’ triste, annoiata, assente. Diventava sempre più spenta. Appassiva, ma allora non era affatto un  fiore, mentre ora lo è.

Che fiore? E’ una rosa, un bocciolo di colore rosa, rosa pallido. E’ inspiegabilmente l’unico fiore in un fogliame intricato e spinoso. Il suo gambo snello svetta elegante e orgoglioso verso il sole. Zitti zitti, il bocciolo  si sta aprendo. Trema la rosa coraggiosa? No, è la brezza del mattino. Le piace, sicuro, le piace la carezza del  vento leggero. Si  abbandona. Si commuove di tanta dolcezza. Le gocce di rugiada scivolano piano. Ascolta le voci degli uccelli, dei passanti, dei cani   per strada e aspetta che il sole sia alto. Così un fiore appassisce davvero. Non succede granchè nella vita di un fiore, e poi finisce subito.

mercoledì 9 marzo 2016

Fleurs

12 luglio 2013

Grazie! 
Ringrazio il signore di mezza età incontrato al supermercato domenica mattina.
Ero in coda per entrare e lui, il tipo, parlava con un amico. Diceva che era lì per comprare dei fiori per sua moglie, rigorosamente fiori recisi. Perchè la moglie era morta sette anni fa, e lui ogni domenica andava a portarle dei fiori. E disse che le donne – tutte – sono fiori, i fiori più belli, e bisogna ricoprirle di fiori. Parlava serenamente, senza dolore. Ho pianto guardandolo.
Mi sembrava di conoscerlo, forse un cliente. Non bello, non giovane. Una persona semplice, di poca cultura. 

Tornerò domenica mattina sperando di incontrarlo e dirgli
grazie

giovedì 4 febbraio 2016

Help Desk


Oggi ho scritto all’help desk.non ho più documenti nella posta in arrivo: li cerco, li cerco... dove sono finiti, boh....li avrò cancellati per errore? Oppure un virus? Erano arrivate delle mail ambigue che simulavano una provenienza dalla banca.  Ho esposto all’help desk questi ingenui dubbi nella mail, dato che doveva essere di almeno un tot di caratteri...
Mi ha chiamato Ramona, mi sono scusata per le sciocchezze dette nella mail – sai l’età, non capisco niente di tecnologia, ma anche da giovane veramente.. -, e lei ha sorriso. Non no come si fa a capire per telefono se uno sorride, ma direi così...
Ha un accento straniero Ramona. Di dove sei? Rumena. Direte voi si capisce dal nome... veramente il nome non lo so, me lo sono inventato, di lei so che è l’operatori numero ... Conosco una Ramona che porta il cane ai giardinetti, cioè portava... ora è in Inghilterra, non c’era lavoro qui, lei è infermiera....
- E ora dove sei, in che città, in Italia? No, sono in romania. Ma dai, e di lì vedi il mio computer, la mia sosta elettronica incasinata?- Sorride.
- Si può fare qulcosa?
Sì. Conferma la richiesta di collegamento. Ecco, premendo questa icona ricompaiono le mail. Sono queste quelle che cercavi. Salva. Miracolo! Sai, a vevo conservato la copia del 730,e i documenti per l’iscrizione all’università di mia figlia... Allora non era un virus dalla romania? Perchè è di lì che arrivano...  Scherzo dai.. Sorride sì, ma è un sorriso stanco, ha ragione... basta con queste battute razziste ....
Ramona deve avere un 25-30 anni,  ha i capelli neri, è piccolina e graziosa, timida e riservata. Laureata in informatica. Sente canzoni romantiche. Ha un figlio di 6 anni che inizia ora la scuola, vive con lui e con la madre in un piccolo appartamento in una periferia cementificata.Non è sposata..Mantiene tutti con uno stipendio di tecnico informatico con un contratto precario presso una società rumena, è un piccolo stipendio ma basta.
Come faccio a sapere tutte queste cose di Ramona? Non le so, me le invento.
- Ma sai che qui abbiamo un sacco di clienti rumeni? I’altro giorno un tuo connazionale mi ha regalato una immagine di una madonna della chiesa evangelica... beh non so di che chiesa...
Non sembra interessarle, eppure mi sembrava di aver detto una cosa carina. Forse ha fretta, sarà pagata un tanto a intervento...
-         Ciao, grazie collega, problema risolto. Mitico Help desk, come faremmo senza di voi?  Ramona, mi ha fatto piacere conoscerti, sei stata veramente disponibie e simpatica. Collega? Credo che Ramona guadagni un quarto del mio  stipendio se va bene, senza assicurazione sanitaria, senza ticket pasto. E ha due persone da mantenere, non c’è tanto da sorridere...
Ricambia formale il mio saluto. Sì, ha fretta, deve andare aprendere il bambino a scuola. O forse è solo annoiata dal mio vano chiacchiericcio e dalla mie inutili lamentele di impiegata, e vede la distanza dove io cerco la vicinanza. E ora che ha messo giù non posso sforzarmi più di dirle  che la  vita anche per me non è mica stata sempre così facile, e per questo capisco se sorride o o no.

Non posso neppure richiamarla, operatore numero?