giovedì 27 ottobre 2016

Alice e il mostro



Alice non aveva mai saputo cosa fosse la paura. Era una fanciulla molto coraggiosa: spesso andava a trovare clienti che vivevano lontano dal villaggio e si dilungava in chiacchiere fino a sera; tornava col buio, percorrendo sentieri impervi e solitari, attraversando boschi popolati da animali di ogni genere. Mentre camminava sulla via del ritorno aveva la mente presa da botteghe da avviare e giovani squattrinati da far sposare, e da castelli cadenti da rimettere insieme. Non aveva paura, non aveva tempo per la paura...
Finchè una sera la paura arrivò. Scendeva dalla collina ripassando mentalmente gli impegni del giorno dopo, quando vide una sagoma  nera dietro un cespuglio e sentì un sibilo, come un soffio di vento. Proseguì spavalda, dicendo tra sé che non era nulla, tornando al pensiero del castello da ristrutturare: bisognava controllare i preventivi e chiamare il perito... Ma il cuore batteva più forte.
Era l’imbrunire, non poteva trattarsi di un’ombra... non poteva essere un orso o un lupo, la macchia nera era enorme. Avanzò cauta, e l’ombra scomparve.
Alice pensò che forse si sbagliava – eppure non si sbagliava quasi mai – e tornò al pensiero dei risparmi dell’oste  da amministrare, e del libretto per il bimbo del verduriere. Forse pensava troppo, e la mente stanca credeva di vedere... inventava...
Ritrovò l’ombra nera altre volte e nei luoghi più diversi e inaspettati. Si disse: io non ho paura. E lo ripetè più volte. E così si accorse  di aver paura.
La sensazione era per lei cosa nuova. Intanto non sapeva di chi o cosa aveva paura. Che poteva succederle? Il mostro poteva imprigionarla, come Barbablu, e poi ucciderla. Poteva portarla nella sua dimora come serva. Poteva mangiarla. Ma com’era fatto? In verità non l’aveva neppur visto. Poteva trattarsi di un orco enorme dalla pelle verdastra e squamosa, di una strega cenciosa, con naso adunco e denti gialli, o di un drago che sputa fiamme... Il mostro non le aveva - ancora -  fatto nulla, salvo attenderla appostato dietro case o alberi. Ma era proprio l’attesa di quel che l’aspettava a toglierle il passo saltellante, il sorriso, la chiacchiera allegra e impertinente, la vivace curiosità. Se ne stava al suo tavolo di lavoro,  appoggiata a un libro contabile, con espressione buia e annoiata. I clienti si affacciavano al negozio, e vedendola così triste se ne andavano, ritenendo opportuno lasciarla sola, rimandando lamentele su pos malfunzionanti, estratti conto in ritardo e sinistri da denunciare - tutto ciò poteva attendere -. Erano  comunque preoccupati, non era mai successo di vedere Alice malinconica. Alice era sempre Alice, col bel e brutto tempo, con la crisi dei mercati e con i provvedimenti avversi del sovrani. Cosa poteva provocare un simile cedimento? Era malata?  E se fosse semplicemente innamorata? Un amore non ricambiato?
Un mattino la lattaia, prima cliente del mattino, trovò la porta chiusa, e neppure un cartello!
Malata, possibile? Non era mai successo. Tutti in paese erano preoccupati. Il fornaio prese a portarle panini con forme buffe per farla ridere ogni mattina, il fiorista una rosa, il bottegaio i frutti più dolci... Dopo sette lunghi giorni si alzò, prese la sua valigetta e, come niente fosse,  si avviò al lavoro, sotto lo sguardo stupito dei bottegai del paese.
Mentre si dirigeva alla fattoria – il fattore voleva comprare un cavallo per i lavori nei campi, e gli serviva un prestito – passò davanti alla caverna. E non resistette alla tentazione di gettare uno sguardo...
L’ombra era lì ad aspettarla.
-          Chi sei? Io sono Alice
-          Aliceeee...
-          Ti prendi gioco di me. Io sono Alice. Vuoi dire che tu sei una parte di me?
-          Tu sei una parte di meeee.    
-          Ma io non ho paura di nulla.
L’ombra fece sventorare braccia nodose e rinsecchite,che terminavano in dita artigliate
Alice cacciò un urlo.
-          Allora, non hai paura?
Dall’ombra emergeva ora un viso rugoso e scavato, con occhi tristissimi e capelli ispidi. Lo squadrò meglio: il corpo era magro e contorto, senza abiti.
Arretrò qualche passo, poi diede fondo alle proprie risorse.
-          Ma tu scusa, dove vivi, in questa caverna? Non ti offendere, è messa assai male.
-          Trovi? Nessuno me l’ha mai detto.
-          Certo. E’ umida e sporca, devi farci qualche lavoro. E poi magari renderla un po’ carina con dei mobili. Va’ dal falegname, giù in paese... Potrei farti un piccolo prestito. Tu lavori?
-          Io?
-          Beh, qualcosa devi pur fare nella vita, ma cosa? Ora che ci penso... e’ arrivato il circo: potresti fare uno spettacolo di paura. Ti ci vedo bene. Ti pagherebbero.
-          La gente avrebbe paura di me?
-          Certo. Tremerebbe e riderebbe.
-          Poi dovresti cominciare a prenderti cura della tua salute, scusa se mi permetto. Hai un colorito! Hai la mutua? No? Allora ti faccio una bella assicurazione malattia, poi magari anche quella sugli infortuni, ci vuole se vai a lavorare al circo, e poi la rc personale, capitasse di far male a qualcuno. Un mostro non può non avere una rc! Spero quadagnerai bene al circo. Ma la paura serve anche in altri ambienti dove ci sono tante persone, il lavoro non ti mancherà. La paura serve.
-          Oh! La paura serve?
-          Vedrai che non avrai problemi a pagare i premi delle assicurazioni e le rate del prestito.
Scusa, scostati un attimo. Questa caverna è proprio un disastro: infiltrazioni di acqua e massi che si staccano... ci vuole assolutamente l’assicurazione sulla caverna.
Cosa dici? La carta di credito. Non se ne parla. Sinora non ti sei comportato così bene, sempre in giro a spaventare la gente. Al limite un bancomat. Hai l’adsl nella caverna? Ok, ti preparo i codici per lavorare su internet. Così eviti di venire in negozio, mi spaventeresti tutti i clienti. 
Poi penseremo a mettere da parte qualcosa, risparmi sì, perchè mica puoi far paura al mondo per  tanto tempo, e se poi il circo ti caccia  come paghi i miei prestiti e le mie polizze? Mi chiedi perchè la paura finirà? La gente si abitua alla paura e anche ai mostri, poi i mostri sono roba da tempi di crisi, con la ripresa non vanno più. Dimenticavo: fondo pensione? Come immaginavo, non sai neppure cos’è. Che disastro! Quanto lavoro!
Si allontanò borbottando... Prestito, assicurazione sulla casa, poi asscicurazioni salute famiglia infortuni. Un piccolo piano di risparmio. Fondo pensione, certamente. Assicurazione auto, no,  l’auto non ce l’ha, peccato... Bisognava dire una parola buona al padrone del circo, chissà se l’avrebbe preso... doveva prenderlo, altrimenti tutte queste polizze e prestiti e piani di risparmio chi li pagava? Non aveva forse calcato troppo la mano con le vendite?
-          Un mutuo! Certo, ora che hai un lavoro ti ci vuole una casa, una famiglia  e una vita regolare... Cos’è questo sibilo... una casa, una famiglia, ti tocca...

Se ne andò camminando ben ritta, con andatura decisa, lasciando dietro di sè l’ombra scura. Se ne tornava a casa soddisfatta per ever fatto anche oggi un buon lavoro.
Ora che la luna illuminava la radura si vedeva chiaramente alle sue spalle  un albero rinsecchito e contorto, scosso dal vento, i cui rami sembravano davvero braccia  levate al cielo.
E il mostro, e l’ombra? Quale mostro, quale ombra? Non c’erano, non c’erano mai stati. O forse erano nella mente di Alice. Il buio, il vento e l’eco nella caverna avevano fatto il resto.
Ma per fortuna, trovando tutte le soluzioni ai problemi della vita del mostro - il mostro che non c’era - la paura era svanita.

Unico essere vivente ad essistere alla scena fu uno scoiattolo,  allibito alla  vista  della fanciulla che parlava da sola: prima timida e tremante, poi amorevole e dedita a buoni consigli, infine  ardita e financo un po’ prepotente, come chi sa cosa è bene per gli altri e decide per il loro avvenire.  
Corse veloce nella sua tana, prima che Alice si fosse guardata alla spalle nuovamente, per importunarlo con un’assicurazione o con un mutuo. Non sapeva cos’erano, ma non ne sentiva affatto la mancanza, e dalle follie degli uomini preferiva stare alla larga.


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