giovedì 15 ottobre 2020

Passeggiando con Luna

Il momento del risveglio è sempre fastidioso. Perchè la mente si affolla di pensieri magari non brutti, ma un poco sgradevoli: pulizie di casa, spesa, appuntamenti... Cerco di poltrire ancora un po' cercando di cacciare via questi suggerimenti tanto utili quanto noiosi.

Per fortuna c'è Luna che mi salva dal dormiveglia, e la nuova giornata ha inizio.

La passeggiata mattutina è piacevole, si pensa bene camminando. si pensa a cose e persone trascurabili e trascurate dopo le nove.

Questa mattina penso al mio nome. Non è un gran pensare, direte voi, invece il nome è importante, eccome..

Non si tratta di una riflessione casuale. Ho letto un post su facebook sull'importanza del dead name e del dead naming: il dead name per una persona trasgender è il nome associato ad una identità del passato, che non c'è più. Nome e identità sono strettamente compenetrati. E dead naming significa continuare ad attribuire una identità che non c'è più, negando il rispetto per un nuovo modo di essere a cui si approda con sacrificio.

Trovo sia un'osservazione profonda. Io mi chiamo Anna, ma ad un certo punto l'anagrafe mi ha registrata come Anna Gabriella, incorporando il secondo nome. Anna era la nonna materna, una bella persona, dolce e coraggiosa, mentre Gabriele era uno zio paterno sconosciuto, morto nello stesso anno in cui sono nata-

Ordunque, io credo di essere ancora Anna, nome poco alla moda peraltro molto bello, puro, semplice, che ho scoperto essere palindromo, quindi forse magico. Molto mio, mi somiglia, mi piace. Io sono Anna (non ho manie di grandezza: non sono bella, ma a volte mi sento tale). Sono Anna nelle attività piacevoli e in quelle magari meno piacevoli che mi emozionano. Sono Anna Gabriella nelle carte e nei contratti, nella noia della burocrazia.
I due nomi si mescolano nella mia vita, portandosi dietro storie diverse che appartengono all'uno o all'altro. Il nome burocratico non è purtroppo un dead name, torna spesso a trovarmi. Chissà, se riuscissi a convincere l'impiegato dell'anagrafe a cancellare il secondo nome... sarei più felice, nel senso che somiglierei al mio nome più vero? Lasciamo perdere queste sciocchezze, vaglielo a spiegare a un impiegato dell'anagrafe quanto è importante un nome.


mercoledì 14 ottobre 2020

Cose da fare

 Abbiamo fiori e sogni da innaffiare, e ci vuole grande dedizione per far cresce una piantina o un sogno, quanta acqua ci vuole, quanti raggi del sole, e bisogna controllare ogni giorno che la piantina buchi il terreno, cresca, si irrobustisca, ecco il bocciolo, e ora ecco, il fiore si apre. Dedizione, dicevamo, ci vuole dedizione, perchè basta che ci sia troppa o poca acqua, troppo sole o troppo freddo... la terra sarà quella giusta... che non appassisca – perchè questo inevitabilmente avverrà – dicevo che non appassisca troppo presto, prima di averci regalato profumo, bellezza e gioia a sufficienza. Non se ne sprechi una briciola, un soffio, un attimo. I fiori sono creature delicate. I sogni anche.


venerdì 31 luglio 2020

La carezza -

Il Moscardo è il mio locale preferito in città. Ci si può andare a cena - prendere anche solo un piatto -, a bere o a mangiare qualcosa sul tardi. Mi piace perché puoi mangiare o non mangiare, mangiare poco o tanto, bere o non bere. E puoi andarci con chi vuoi, solo o con amici o con un uomo. O con il cane. Il locale è caldo e colorato, con tanti oggetti alle pareti, e tavolacci con le panche, e tavoli più piccoli… E in estate si può stare fuori. E’ un posto di sinistra, tendenzialmente sì. Ma ci vanno un po’ tutti. E a volte c’è musica, buona musica. I proprietari, ogni volta che c’è un cliente nuovo, spiegano che il loro piatto tipico è il piatto del coniglio, e spiegano che non contiene carne di coniglio…è la storia del nome del locale, che ho sentito più volte ma non ricordo. Sono contenti di trovare qualcuno a cui raccontare la storia… sono un po’ lenti a servire, come se non fossero pratici del mestiere. Ma non importa. Quasi ogni sabato sera sono qui.

Arriva dinoccolata ed elegante, qualche amico le va incontro, l’accompagna al tavolo, dove altri stanno già mangiando. E’ alta. Magra. Non appariscente. Vestita in modo semplice, con un cardigan lungo, stivali col tacco e una gonna appena un po’ corta. Non alza lo sguardo, sa che la gente la nota, la osserva con attenzione. Perché è bella ma strana. Il viso troppo perfetto, botulino o chirurgia plastica. Le spalle larghe. Quando la gente capisce il segreto della sua bellazza torna a dedicarsi al cibo e al vino e alle chiacchiere. Lei, senza alzare gli occhi, senza guardare mai nessuno in viso, in solitudine mangia e pasticcia al cell, poi parla col vicino, dapprima un po’ imbarazzato, poi espansivo. Le parla all’orecchio, ride, il braccio dietro la schiena di lei. Direi che non è il suo uomo, vuole solo avere un atteggiamento amichevole.. Ascoltano la musica. Poi lui, non il tipo a fianco, ma quello che le sta di fronte, si alza per accompagnare a casa delle persone del gruppo, amici o colleghi; prima di uscire le dice giusto due parole, e le accarezza la nuca per una frazione di secondo. Lei si gira e sorride. Gesti di coraggiosa intimità senza esibizione, di intesa che non ha bisogno di parole. Un attimo. Forse me ne accorgo solo io che sono lì dietro.
- Non fissare, non sta bene. Stai sempre a fissare la gente…
- Stavo fissando?
- Sì… certo che si fa notare… - Scusa?
- Sì, il tipo, hai capito…
- Stavo pensando a noi.
- Strano, pensavi a noi?
 - Ricordi quella volta che ti ho detto, “Non mi hai mai dato una carezza”.
- Massì, un momento di crisi. Poi non è vero che io…
- Ecco: volevo una carezza come quella. Volevo quella carezza.

C’è musica stasera. Musica jazz. Sono venuta per questo. Suona lui. Ascolto e lo osservo. E’ serio, sempre serio, anche quando gli altri musicisti scherzano. Osservo i gesti, le espressioni, La fronte sempre corrugata. E’ l’espressione di un intellettuale, ok, ma non mi dà fastidio. Non è bello, ma a me piace. E’ magro, un po’ legnoso. Non è sensuale. Questo ok ha un senso oggi, ma era così già qualche anno fa, diversi anni fa, quando stavo già qui a osservarlo. E c’è un passaggio in cui si fa più serio, sempre lo stesso. Mi piace anche così legnoso, ok. Intendo, mi piaceva così anche qualche anno fa, quando il sesso importava. Lui non sa di me. Non mi ha mai vista. Non mi ha mai notata. Sono una che non si nota. Vengo a vederlo ogni tanto e basta. Non abbiamo amici in comune, non ci parleremo mai. Io lo vedo da diversi anni. Veramente la prima volta che l’ho visto era…più di trenta anni fa, veramente allora mi piacevano uomini diversi, ma avevo un certo trasporto…beh, gli ideali…, e lui suonava i pezzi degli inti illimani alla soms al mio paese. Già allora non era un granchè bello. Chissà perché me ne ricordo. No, non vorrei conoscerlo, perché mai. Inscopabile. Poi io ho soggezione dei tipi intellettuali… troppo colti…. La volpe e l’uva... che c’entra?

Una volta sono stata al moscardo con un tipo allucinante, da morire dal ridere. Uno alto, biondo capelli lunghi, abbronzato finto… vestito da cow boy… coi jeans strappati e il giubbotto di pelle, 50 anni su per giù…oltre che bello, ricco, bella macchina e conoscenze giuste. Io invece ero tutta fighetta con un abitino nero corto. Quella che è la padrona o la cameriera, non l’ho capito mai, mi guardava con un’espressione interrogativa, e io, che già mi veniva da ridere per il tipo, facevo così fatica a stare seria…Ho bevuto quella sera, e chiacchierato animatamente con lui, partecipe ai suoi problemi legati ad un matrimonio infelice. Solo ogni tanto incrociavo le sguardo della cameriera, e mi venivano le lacrime agli occhi. Chissà perchè, gli uomini belli hanno sempre qualcosa che non va. Il cow boy non l’ho più visto dopo quella sera, mi ha perfin richiamata. Alla vanità giova che un bell’uomo richiami. Per fortuna quella sera non ho incontrato nessuno che mi conoscesse, che vergogna! Sì, era il mio posto il Moscardo.

Si poteva sempre ad andarci... ci andavi con chiunque, vestita come capitava. Amori veri e sognati, amici, famiglia. È il ancora il mio posto, ma qualcosa è cambiato. Non c'è più il piatto del coniglio. Mi piaceva sentire la signora dall'aria casalinga che spiegava – ogni volta allo stesso modo– che cos'era il piatto del coniglio, e chiariva che il coniglio non c'era... Non sono una tradizionalista, ma sono ricordi della mia giovinezza... era una cosa simpatica... di sinistra... Certo, è più di sinistra il piatto del coniglio che il risottio mantecato con i gamberetti e gli aromi strani. Ora ci sono piatti sofisticati, buoni sì... quasi quasi glielo dico a Enzo uno di questi giorni: che cos'hai contro il piatto del coniglio? Si offenderà? Beh, Enzo è un amico, tanto carino e gentile, e mi ha aiutato a pubblicare i miei racconti quando erano inascoltabili – e forse lo sono ancora – ma come ristoratore... Un uomo, e uomo di cultura, che vive di sentimenti e ideali, mai noioso (per un uomo di cultura non è poco. Ma il piatto del coniglio... è l'immagine del locale, nel cuore degli alessandrini, anche se il risotto mantecato mi sa che è più buono. Quasi quasi ci vado stasera, anche da sola... ho questo complesso, una zitella non giovane da sola per locali... non sta bene – ultimo tabù della società-. Ma oggi è il compleanno di Enzo, quasi quasi... faccio la carina... auguri auguri baci baci... e glielo dico, che io voglio il piatto del coniglio. Vorrei anche la signora dell'aria casalinga che ripete ddolcemente la storia del piatto del coniglio, ma mi rendo conto che è troppo, è pure antisindacale. Ok, la storia del coniglio la può raccontare anche la attuale cameriera, così carina e professionale, sarebbe un compromesso accettabiele... ma che la storia del coniglio sia precisa, assolutamente sempre quella, quella dei miei vent'anni, dei miei primi fidanzati, dei miei primi sogni . Che ora è? Magari non vado, che vado a farci da sola? Meglio chiamare. Gli auguri sono sempre graditi. Magari faccio finta di niente, e chiedo con nonchalanche a Enzo – se non si è troppo offeso per il coniglio - se ha visto ancora il musicista, si sarà sposato, sarà magari nonno.
Comunque il Moscardo resta il mio locale, e lì porto tutte le persone importanti della mia vita.

 Bun compleanno, Enzo
Carta da Parati Coniglietto disegno • Pixers® - Viviamo per il ...

giovedì 30 luglio 2020

Sauro va al parco

Al parco
Certo che è proprio bello questo parco. Che bell'erba! Ideale per una grattatina alla schiena!
E si buttò a terra, coricandosi a pancia in su, ondeggiando felice, col suo codone che sbatteva su panchine e altalena.
Fabio si guardava intorno circospetto. Per fortuna il parco era deserto. Ci fossero stati i suoi amici, cosa avrebbero pensato di quel coso enorme dagli occhi storti?
Eccolo di nuovo in piedi.
  • Vieni con me, ti faccio vedere il recinto per i cani. Ecco, guarda, puoi entrare. Non c'è scritto “vietato ai dinosauri”, perfetto.
  • Guarda ci sono due cagnolini, simpatici...
  • mmm, il solito problema, non passi dalla porticina..
  • io scavalco, ecco, che ci vuole.
  • Fa' piano, il recinto è pericolante... e tu hai la grazia di un elefante!
  • Ecco fatto. Uff, mi si impiglia la coda. Sono entrato. Ora potrei giocare a inseguire i cagnolini, peccato che ci sia pochissimo spazio... Ehi voi, aspettatemi, arrivo.
    Sauro rincorreva due cuccioli, una bassottina marrone e una barboncina bianca, per nulla impressionati dalla sua mole... I padroni dei cuccioli – una signorina elegante e un po' snob e un signore anziano dall'aria intellettuale - chiacchieravano amabilmente, non sembravano accorgersi di Sauro:
  • Guardi, guardi, come si divertono, che cari! Come si è animato il gioco, così all'improvviso!
    Fabio si grattava la testa perplesso. Non tutti erano in grado di vedere Sauro... la mamma?
    Ci avrebbe pensato dopo. Sauro era sistemato, urrà! Oltrettutto invisibile. Questo amico gli piaceva, era divertente e buffo... ma Fabio un po' si vergognava: così goffo e, diciamolo pure, anche un po' tonto... Ora che Leda e Lucy lo tenevano impegnato poteva andare sullo spiazzo lì vicino ad aspettare gli amici per giocare a pallone.
    Si stava riscaldando, quando sentì dei guaiti strani e degli strilli, una voce femminile ... Rimase un attimo immobile, poi si precipitò al recinto. Chissà Sauro cos'aveva combinato, non poteva lasciarlo solo un attimo...
    Ora il recinto cani era vuoto, non si vedevano più i cani. Era rimasta Lucyamoremio – così avevano soprannominato la signorina snob-; era agitatissima, rossa in viso; chiamava a gran voce Lucy:
  • Lucy dove sei. Vieni qui amore, dalla tua mamma. Non farmi stare in pensiero...
    Fabio era avvezzo ai modi ridicoli dei padroni dei cani. Ma capì che in effetti era successo qualcosa: Lucy dov'era? E quei guaiti soffocati da dove venivano?
    Vi chiederete: Sauro che faceva?
    Sauro se ne stava seduto, mogio mogio, in mezzo al recinto, di cui occupava una parte consistente; immobile, sguardo a terra...
  • Sauro, non mi dire... ma non eri erbivoro? - intanto continuava a sentire il guaito, il che faceva ben sperare che Lucy, amore della mamma, fosse ancora in vita.
  • Sauro, parla, sai qualcosa?
    Sauro sollevò le spalle, poi si alzò in piedi, e comparve da sotto il suo pancione l'adorabile batuffolino bianco, sgualcito e spettinato. In effetti, rimanendo schiacciata sotto la mole di Sauro, i suoi magnifici ricciolini freschi di pet-chauffeuse si erano tutti appiattiti. Sembrava un comune cane da canile.
  • Amore mio. Sei inguardabile! Cosa ti è successo mai! Dove sei andata! - la padroncina, che avrebbe dovuto essere felice per il ritrovamento, sembrava invece addolorata per il look volgare della sua amata.
E Lucy, chiederete voi? Lucy sembrava indifferente al cambiamento di look, e tornava ad allontanarsi dalla sua mamma, correndo gioiosa un girotondo solitario intorno a non si sa cosa...

giovedì 14 maggio 2020

Lo scarabeo stercorario

-Scusa, è tanto tempo che te lo voglio chiedere: che gusto c'è a vivere di quella roba lì?
-Mi piace. E' la mia vita.
-Che cosa ti piace?
- Lo sterco. Sono uno scarabeo stercorario, no? E tu. Ce l'hai uno scopo nella vita?
- Certo che ce l'ho. Metto via cibo, granaglie, per la mia comunità. Mi impegno, lavoro sodo, mi sacrifico per le mie compagne. E poi do il buon esempio a milioni di umani, sono nelle favole famose...
- Orgogliosa, superba...sei solo una formica!
- Un po' sì, sono orgogliosa, mi sento utile al mondo. Ma anche altri insetti lo sono, ognuno a modo suo. La farfalla non si accontenta di essere un vermetto, ma dona al mondo colore e bellezza. Il grillo non mi è granchè simpatico, ma ammetto che regala la musica... mentre tu...
- Io, in tutto quel che mi circonda, cerco lo sterco. Ne faccio una bella palla destinata a proteggere il mio cibo e le mie uova.
- Scusa, non puoi trovare qualcos'altro per il tuo pranzo e i tuoi figli?
-A me va bene così. Alla bellezza già ci pensate in tanti, e vi date un sacco di arie. Lo sterco non manca mai; lo trovo in tutto e tutti: sei uscita di sera, te la sei cercata... vuoi far del bene, c'è qualcosa sotto...sei diversa...
- Forse, povero scarabeo, ti senti escluso dalla bellezza, dalla bontà. Povero scarabeo... hai mai pensato di fare una terapia psicanalitica?
E lo scarabeo diede qui una zampata violenta alla formica, e la fece sparire nell'impasto. Riprese a far rotolare la pallina di sterco in direzione del suo rifugio.
Jacopus Sampietrus si riferisce a diverse specie di scarabei che si nutrono di sterco e che raccolgono il loro nutrimento (per conservarlo o per deporvi le uova) facendone caratteristiche pallottole e facendole rotolare sul suolo. Questo genere di comportamento viene esibito da diverse specie delle famiglie Scarabaeidae (sottofamiglia Scarabaeinae) e Geotrupidae. (da wikipedia, l'enciclopedia libera)

mercoledì 25 marzo 2020

Vigilia


  • Marco, cosa combini? Metti tutto sottosopra...
  • Cerco lo strofinaccio rosso, quello con i disegni di natale. Eccolo...
  • Ehi, giovanotto, ora rimetti a posto!
Non c'erano speranze di riavere la casa in ordine. Costruzioni, giochi di società, pupazzi, cartoni colorati ovunque... Scatoloni disegnati e ritagliati erano diventati transformer. Una decina di confezioni di pasta erano state sacrificate alla costruzione di un paese: casette e palazzi, la chiesa con il campanile. La pasta era stata trasferita in sacchetti di plastica, ammucchiati in un angolo della cucina.
Tutti espedienti per impegnare il tempo, che non servivano per combattere la paura.
Nel frattempo Marco aveva avvicinato una sedia ai mobiletti della cucina, e si era messo a cercare qualcosa in uno scaffale. Trovato! Era sceso giù con una tazza con dipinto un angioletto.
Andò in soggiorno, davanti alla porta finestra, e sistemò la tovaglietta sul pavimento spianandola per bene con le manine, disponendo al centro la tazza e un cucchiaino; poi andò a prendere un cartone di latte e dei biscotti. Versò il latte nella tazza e mise qualche biscotto sul piattino. Controllò che tutto fosse a posto. Sembrava soddisfatto del suo lavoro.
- Manca una cosa – Altro trambusto, proveniente ora dallo sgabuzzino.
Marco tornò con delle candele colorate. E cacciò via il gattino, che aveva seguito incuriosito i preparativi e ora stava rosicchiando soddisfatto un biscotto.
  • Mamma accendi, così si accorge che lo aspettiamo.
La mamma intuì le intenzioni del piccolo, testone e iperattivo.
- Marco, non è Natale! E' primavera, ai visto oggi che gli alberi sul viale sono già fioriti. - una fioritura precoce nella città deserta.
Non si sentiva di dirglielo. Di dirgli che Gesù Bambino non sarebbe venuto.
  • Lo so che non è Natale. E' la vigilia.
  • La vigilia?
  • La vigilia di un giorno bello. Deve venire un giorno bello, non importa se non è proprio Natale.
  • Ho capito. E cosa vuoi che porti Gesù Bambino?
  • Che tutti guariscano. E qualche gioco nuovo, questi ormai li conosco tutti a memoria.
    Ah dimenticavo, che non muoiano più bambini nel mare.
  • Ma ci vuole tempo per queste cose, come può Gesù Bambino fare tutto in un giorno...
Marco non amava essere contrariato. Con la fronte corrucciata continuò:
- e che porti skype alla nonna...
Parlando Marco si era accoccolato sul divano, e si stava appisolando.
- Voglio aspettarlo, ma ho tanto sonno. Svegliami quando arriva... non come l'altra volta che hai promesso e poi non mi hai chiamato...
La mamma aspettò che si addormentasse, poi lo prese in braccio per portarlo nel lettino. Si mise poi a raccogliere i giochi sparsi dovunque. Spense le candele e poi sbriciolò i biscotti, come ogni natale, per far credere che la colazione era stata apprezzata.
Vigilia... domani sarebbe stato uguale a oggi, e avrebbero inventato nuovi giochi. Ma le dispiaceva che Marco ricevesse questa delusione, e le dispiaceva anche che Gesù Bambino facesse una così brutta figura.. Ma magari avrebbe potuto spiegare skype alla nonna questo sì, impegnandosi... Dopotutto Marco sapeva bene che Gesù Bambino non porta mai tutti i doni.

25 marzo 2020