domenica 17 aprile 2022

Biancaneve, la vera storia...

 

Certo direte, cari lettori, che ho già scritto la vera storia di biancaneve, forse ne ho scritte un paio… più o meno vere… Ma è successo qualcosa di imprevisto. Nuove notizie sono trapelate al castello, notizie segrete, e anche un po’ sconvenienti per una fiaba per bambini. Di più, diciamocelo, scan-da-lo-se…

Non dovrei scrivere proprio nulla, dovrei essere discreta, ma qui siamo tra pochi amici, e voglio sfogarmi. Mi raccomando, acqua in bocca.

Dunque, da dove inizio… Biancaneve era infelice al castello, questo si sa. Strofinava pavimenti, lavava piatti… Voleva diventare una sarta (si’, questo è un fatto ignoto), o magari studiare… fare la maestra, questo era il suo vero sogno. Perché Biancaneve aveva dei sogni! Nessuno l’ha mai saputo, dei sogni. Ma non è questo il segreto, fatemi continuare.

Biancaneve voleva fuggire, e ci provò più volte, ogni volta perdendosi nel bosco. Ogni volta arrivava il guardacaccia, inviato dalla regina, per riportarla al castello. E ogni volta la regina si lamentava per le lunghe attese. In effetti il guardiacaccia non era mai così sollecito nelle proprie incombenze. La fanciulla era così impaurita, così sola, così tenera e, diciamocelo pure, anche bella, che non potè fare a meno di consolarla, carezzandola dolcemente e stringendola fra le sue braccia. Qualche malalingua parla di violenza carnale, ma in realtà fu un rapporto assolutamente consenziente, e il bisogno di affetto e attenzione di Biancaneve è poi comprensibile.

Per la settima volta provò la fanciulla a fuggire, la fuga procedeva lentamente perché sentiva nausea e per il disagio procurato da un abito troppo stretto; ma ormai conosceva bene  i sentieri nel bosco e procedette senza esitazioni. Non voleva che questa volta il guardiacaccia gentile la trovasse, aveva una moglie e dei figli. Lei invece una famiglia non la voleva, aveva i suoi sogni.

Cammina cammina, arrivò ad una radura, all’alba. Qui trovò la casetta dei sette nani. Era notorio il loro bisogno di servitù, quindi proseguì.

Incontrò la strega, che le offrì un cesto di mele, rosse lucide  e profumate, che non erano affatto avvelenate. E la strega le promise altri beni alimentari (oggi si tratterebbe di sussidi, ma allora non esisteva ancora un’economia monetaria), che le avrebbero consentito di mettere da parte senza rimpianti  i suoi sogni. Fare la maestra poi, a che pro? Quale migliore sistemazione per la povera fanciulla!

Se ne rimase seduta nell’erba, vicino al cesto di mele, piangendo. Che fare? Ritornare al castello? La regina l’avrebbe accolta a braccia aperte: al regno servivano nuovi servi e nuovi guerrieri, servi e guerrieri non bastavano mai in quel paese!

Ma lei sperava, sapeva che qualcuno sarebbe arrivato. Diede un calcio al cesto e le mele rotolarono nel ruscello. E si addormentò sull’erba. Sognò. Un pricipeazzurro? No, una donna, ecco altre donne, tante donne. Non una di meno.