C’era una volta un minuscolo paese fra le colline: era un borgo ameno, piccolo ma con una storia importante alle spalle, fatta di castelli, armi e cavalieri. Lo studio del passato era un’attività che prendeva molto gli abitanti, dato che nel villaggio non c’era poi molto da fare. Non c’erano commerci, né arti e artigiani… neppure contadini. Il paese era famoso in un remoto passato per il verde stupendo che lo circondava; non erano prati, ma verdure: insalata, zucchine, bietole… E il tappeto verde era tempestato di brillanti e rubini, ravvivato dal rosso dei pomodori, dal giallo dei peperoni e dal viola delle melanzane.
Vi chiederete che ne fu di tanto
splendore: un terribile maleficio si abbattè
su Casteldove: lo stregone di un paese vicino (Castelqualcosaltro),
animato da invidia e degrado dei neuroni, rese quel paradiso un deserto. Lavorò
con ostinazione, convincendo i giovani ad abbandonare i campi per la città:
ricchezza, cibi succulenti, palazzi e castelli… Riuscì perfidamente nel suo
intento e il paese si svuotò. Fu avvolto dal silenzio: niente più canti, niente
più risa di bambini, niente più musica e
balli, solo il vociare di ubriachi all’uscita dalle osterie. Svuotandosi il
paese chiusero le poche botteghe e le scuole, restarono giusto le osterie. Qui
gli anziani del luogo erano abitualmente dediti a discussioni e liti, ma in un raro
momento di sobrietà tre di loro si misero a confabulare di una rinascita; per
quanto pieni di acciacchi – chi l’alzheimer, chi la gotta, chi l’artrosi…- non
si rassegnavano a veder perire il caro paese. E avevano ancora qualche risorsa
da spendere.
·
Ho sentito che, non distante da qui, hanno
inventato il turismo.
·
Non abbiamo neanche una locanda degna di tal
nome.
·
Ristoranti?
·
Ce n’è a milioni dovunque.
·
Campagna?
·
Dov’è la campagna? La terra qui intorno è
tutta infestata da erbe spinose e porcellana, e ci scorrazzano quei grossi
maiali e topi, scommetto li ha mandati lo stregone di Castelnonso, maledetto.
·
Ma la terra è buona, la più fertile della
regione. Coi maiali ci facciamo lo stufato… Ci si rimbocca le maniche, si
ripulisce tutto e si ricomincia.
·
Ma chi pulisce? Non ci sono giovani, io ho
l’artrosi, tu…
·
Un po’ d’inventiva. Chiameremo dei
giovani da oltremare, dicendo loro che
qui ci sono lavoro, ricchezze, e soprattutto persone entusiaste di conoscerli, accoglierli
e abbracciarli.
·
Ora dici bugie pure tu, come lo stregone…
·
Piccole bugie, quasi verità…
·
E poi, quando capiranno che non è vero? Che
lavoro ce n’è anche troppo, e non avranno un minuto di respiro? E che non li
abbracciamo, che l’accoglienza e l’amicizia sono negli editti imperiali, ma qui
gli editti chi li legge?
·
Zitti! Vado a sellare il cavallo e parto…
Non sappiamo quali fandonie il
vecchietto sparse per l’asia e l’africa, ma arrivarono in tanti.
Entusiasti all’inizio, si placarono
presto, storditi dalla fatica.
Fu così che i campi vennero ripuliti,
concimati, seminati… Il verde tornò a splendere, e Casteldove tornò a essere il
borgo ridente di un tempo.
I tre ubriaconi erano preoccupati:
l’onore e la fama del paese rischiavano ora di venire infangati dal dubbio di
trattamento disumano degli schiavi. Si attendeva la visita dell’imperatore,
cosa avrebbe mai pensato?
·
Trattamento disumano? Perché, ci sono schiavi
trattati umanamente?
·
E poi si dice servi, non schiavi! La
schiavitù non esiste più da qualche secolo!
·
Bene, schiavi o servi, cosa c’è di inumano?
Mangiare mangiano, sono in salute, cantano…
·
Ti sbagli, non sono piantagioni di cotone, non
cantano.
·
Ma la libertà…
·
Ma che libertà e libertà, al loro paese non
si usa. Rispettiamo le loro usanze, chi siamo noi per contrastarle!
·
Ma cosa raccontiamo all’imperatore?
·
Non saprà nulla. Nessuno sa degli schiavi:
non si fanno vedere in giro, lavorano sempre… nessuno parlerà…
·
Non sarebbe meglio nasconderli?
·
Nasconderli dove?
·
Nella collina, sottoterra, vicino al fiume.
Lì nessuno li cercherà… i miasmi terranno lontano l’imperatore in visita (ndr:
la collina era in realtà una discarica… ma a lungo la cosa non fu di dominio
pubblico).
·
Ma ci staranno tutti?
·
Forse no, sono troppi. Poi se si venisse a
sapere sembrerebbe cosa… disumana.
·
Allora?
·
Li mandiamo via… incolumi… nel paese di
Castelbo… gli diciamo che lì c’è cibo in abbondanza, case… sono giovani
ingenui, ci crederanno…
·
Ma anche lì andrà un giorno in visita un
potente…
·
Potranno spostarsi.
·
Senza casa, senza famiglia, senza parole… andranno
in un altro luogo e di nuovo li cacceranno, e ancora e ancora… continueranno così
senza tregua.
·
Queste stupide svenevolezze non appartegono
ai nostri nobili valori. Pensiamo piuttosto a risolvere il problema. Chi va a
parlare con gli schiavi? Nessuno conosce la loro lingua.
·
Ho un’idea! Lo diremo alla strega Argia, sa
tutte le lingue del mondo.
Nessuno dei
tre voleva avere a che fare con la vecchia. Tirarono a sorte. Il messo si avviò
sbuffando su per il sentiero che conduceva al rifugio della strega.
Argia
abitava in una regione isolata, in un capanno circondato da orti di zucche, che
lei curava personalmente con grande dedizione. Aveva un temperamento solitario
e bilioso, che unito a una proverbiale bruttezza la rendeva inavvicinabile e
inavvicinata. Era schernita e detestata sì, ma
apprezzata per le sue doti magiche e di preveggenza.…
Il portavoce
si fece coraggio e bussò:
·
Argia, fammi entrare, è per
un pericolo incombente. Esci fuori.
·
La vecchia si affacciò, avvolta nei suoi
stracci neri consunti, con la sua inquietante chioma grigia scarmigliata e
unta.
·
Ma perché un orto di zucche, Argia? Nessuno
coltiva zucche in questo paese. Pagano pochi sesterzi per una zucca…
·
Fatti miei. Le zucche sono magiche e la
lattuga è maladetta e anche velenosa. Coltivatela voi. (ndr: Al tempo non
c’erano ancora problemi di inquinamento: che la vecchia avesse davvero doti di
preveggenza?) Ma veniamo al dunque. Se
sei venuto fin qui c’è qualcosa di grave..
·
Argia, domani arriva l’imperatore in visita,
come possiamo giustificare il trattamento riservato agli schiavi? Il poco cibo
e il tanto lavoro?
·
Lo sfruttamento?
·
Sfruttamento, suvvia…? Mettila come vuoi. Ma
aiutaci, se hai ancora a cuore il tuo paese…
·
Ubriaconi incapaci, buoni solo a sfruttare! E
venite da me a piangere…
·
No no, noi non sfruttiamo, sono altri, i
signori…
·
Zitto, voi vedete e tacete. Tutti a bruciare
all’inferno, in buona compagnia…
·
Argia, ti prego… parla con loro, gli schiavi,
che si nascondano, si allontanino…
·
Volete che li renda invisibili? Trasparenti? Non
ci penso affatto. Non vi aiuto certo nei vostri loschi traffici. Meglio il
rogo. (ndr: le sue bizzarrie non erano comprese in
paese; andò effettivamente al rogo due
anni dopo)
Però,
fammi pensare… c’è un’altra soluzione: una paga giusta, otto ore di lavoro, un
giorno di riposo, tutto scritto e firmato, e case.
·
Ma che dici! Che stramberie! Questi sono
abituati così, non chiedono niente! E otto ore da dove saltano fuori? Lavorano
senza sosta, senza lamentarsi! Però se non abbiamo scelta, faremo come dici. L’imperatore
arriva domani, dobbiamo sbrigarci.
·
E ora togliti dai piedi, ubriacone ignorante
senza idee; tu e i tuoi amici tornatevene
dalla vostra lattuga. E pronunciando queste parole sbattè la porta sul naso del
visitatore.
·
Vecchia pazza, odiosa e puzzolente! – Il
messo si mise sulla via del ritorno.
L’imperatore visitò il borgo e fece i complimenti
al podestà e ai notabili del paese. Mai aveva visto campagne così verdi e
monumenti così ben conservati; in particolare rimase estasiato di fronte al
clima di armonia e gioia della variegata popolazione.
Dopo la partenza dell’imperatore i
vecchi strapparono dalle mani degli schiavi i papiri firmati e li bruciarono in
un rogo sfavillante nella piazza grande, unitamente a alcune centinaia di libri
dai contenuti stupidi e svenevoli che non trovavano posto della biblioteca del
luogo. Le luci nella notte entusiasmarono i popolani, già eccitati per la
visita dell’imperatore. Il rogo riscosse un tale successo che se ne allestì un
altro, due anni dopo.
Nb: le parole difficili sono prese da
google, e messe lì un po’a caso perché adatte a una fiaba. Me ne scuso.
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