domenica 27 aprile 2025

STORIA DI CASTELDOVE

C’era una volta un minuscolo paese fra le colline: era un borgo ameno, piccolo ma con una storia importante alle spalle, fatta di castelli, armi e cavalieri. Lo studio del passato era un’attività che prendeva molto gli abitanti, dato che nel  villaggio non c’era poi molto da fare. Non c’erano commerci, né arti e artigiani… neppure contadini. Il paese era famoso in un remoto passato per il verde stupendo che lo circondava; non erano prati, ma verdure: insalata, zucchine, bietole… E il tappeto verde era tempestato di brillanti e rubini, ravvivato dal rosso dei pomodori, dal giallo dei peperoni e dal viola delle melanzane.

Vi chiederete che ne fu di tanto splendore: un terribile maleficio si abbattè   su Casteldove: lo stregone di un paese vicino (Castelqualcosaltro), animato da invidia e degrado dei neuroni, rese quel paradiso un deserto. Lavorò con ostinazione, convincendo i giovani ad abbandonare i campi per la città: ricchezza, cibi succulenti, palazzi e castelli… Riuscì perfidamente nel suo intento e il paese si svuotò. Fu avvolto dal silenzio: niente più canti, niente più  risa di bambini, niente più musica e balli, solo il vociare di ubriachi all’uscita dalle osterie. Svuotandosi il paese chiusero le poche botteghe e le scuole, restarono giusto le osterie. Qui gli anziani del luogo erano abitualmente dediti a discussioni e liti, ma in un raro momento di sobrietà tre di loro si misero a confabulare di una rinascita; per quanto pieni di acciacchi – chi l’alzheimer, chi la gotta, chi l’artrosi…- non si rassegnavano a veder perire il caro paese. E avevano ancora qualche risorsa da spendere.

·       Ho sentito che, non distante da qui, hanno inventato il turismo.

·       Non abbiamo neanche una locanda degna di tal nome.

·       Ristoranti?

·       Ce n’è a milioni dovunque.

·       Campagna?

·       Dov’è la campagna? La terra qui intorno è tutta infestata da erbe spinose e porcellana, e ci scorrazzano quei grossi maiali e topi, scommetto li ha mandati lo stregone di Castelnonso, maledetto.

·       Ma la terra è buona, la più fertile della regione. Coi maiali ci facciamo lo stufato… Ci si rimbocca le maniche, si ripulisce tutto e si ricomincia.

·       Ma chi pulisce? Non ci sono giovani, io ho l’artrosi, tu…

·       Un po’ d’inventiva. Chiameremo dei giovani  da oltremare, dicendo loro che qui ci sono lavoro, ricchezze, e soprattutto persone entusiaste di conoscerli, accoglierli e abbracciarli.

·       Ora dici bugie pure tu, come lo stregone…

·       Piccole bugie, quasi verità…

·       E poi, quando capiranno che non è vero? Che lavoro ce n’è anche troppo, e non avranno un minuto di respiro? E che non li abbracciamo, che l’accoglienza e l’amicizia sono negli editti imperiali, ma qui gli editti chi li legge?

·       Zitti! Vado a sellare il cavallo e parto…

Non sappiamo quali fandonie il vecchietto sparse per l’asia e l’africa, ma arrivarono in tanti.

Entusiasti all’inizio, si placarono presto, storditi dalla fatica.

Fu così che i campi vennero ripuliti, concimati, seminati… Il verde tornò a splendere, e Casteldove tornò a essere il borgo ridente di un tempo.

 

I tre ubriaconi erano preoccupati: l’onore e la fama del paese rischiavano ora di venire infangati dal dubbio di trattamento disumano degli schiavi. Si attendeva la visita dell’imperatore, cosa avrebbe mai pensato?

·       Trattamento disumano? Perché, ci sono schiavi trattati umanamente?

·       E poi si dice servi, non schiavi! La schiavitù non esiste più da qualche secolo!

·       Bene, schiavi o servi, cosa c’è di inumano? Mangiare mangiano, sono in salute, cantano…

·       Ti sbagli, non sono piantagioni di cotone, non cantano.

·       Ma la libertà…

·       Ma che libertà e libertà, al loro paese non si usa. Rispettiamo le loro usanze, chi siamo noi per contrastarle!

·       Ma cosa raccontiamo all’imperatore?

·       Non saprà nulla. Nessuno sa degli schiavi: non si fanno vedere in giro, lavorano sempre… nessuno parlerà…

·       Non sarebbe meglio nasconderli?

·       Nasconderli dove?

·       Nella collina, sottoterra, vicino al fiume. Lì nessuno li cercherà… i miasmi terranno lontano l’imperatore in visita (ndr: la collina era in realtà una discarica… ma a lungo la cosa non fu di dominio pubblico).

·       Ma ci staranno tutti?

·       Forse no, sono troppi. Poi se si venisse a sapere sembrerebbe cosa… disumana.

·       Allora?

·       Li mandiamo via… incolumi… nel paese di Castelbo… gli diciamo che lì c’è cibo in abbondanza, case… sono giovani ingenui, ci crederanno…

·       Ma anche lì andrà un giorno in visita un potente…

·       Potranno spostarsi.

·       Senza casa, senza famiglia, senza parole… andranno in un altro luogo e di nuovo li cacceranno, e ancora e ancora… continueranno così senza tregua.

·       Queste stupide svenevolezze non appartegono ai nostri nobili valori. Pensiamo piuttosto a risolvere il problema. Chi va a parlare con gli schiavi? Nessuno conosce la loro lingua.

·       Ho un’idea! Lo diremo alla strega Argia, sa tutte le lingue del mondo.

Nessuno dei tre voleva avere a che fare con la vecchia. Tirarono a sorte. Il messo si avviò sbuffando su per il sentiero che conduceva al rifugio della strega.

Argia abitava in una regione isolata, in un capanno circondato da orti di zucche, che lei curava personalmente con grande dedizione. Aveva un temperamento solitario e bilioso, che unito a una proverbiale bruttezza la rendeva inavvicinabile e inavvicinata. Era schernita e detestata sì, ma  apprezzata per le sue doti magiche e di preveggenza.… 

Il portavoce si fece coraggio e bussò:

·        Argia, fammi entrare, è per un pericolo incombente. Esci fuori.

·       La vecchia si affacciò, avvolta nei suoi stracci neri consunti, con la sua inquietante chioma grigia scarmigliata e unta.

·       Ma perché un orto di zucche, Argia? Nessuno coltiva zucche in questo paese. Pagano pochi sesterzi per una zucca…

·       Fatti miei. Le zucche sono magiche e la lattuga è maladetta e anche velenosa. Coltivatela voi. (ndr: Al tempo non c’erano ancora problemi di inquinamento: che la vecchia avesse davvero doti di preveggenza?)  Ma veniamo al dunque. Se sei venuto fin qui c’è qualcosa di grave..

·       Argia, domani arriva l’imperatore in visita, come possiamo giustificare il trattamento riservato agli schiavi? Il poco cibo e il tanto lavoro?

·       Lo sfruttamento?

·       Sfruttamento, suvvia…? Mettila come vuoi. Ma aiutaci, se hai ancora a cuore il tuo paese…

·       Ubriaconi incapaci, buoni solo a sfruttare! E venite da me a piangere…

·       No no, noi non sfruttiamo, sono altri, i signori…

·       Zitto, voi vedete e tacete. Tutti a bruciare all’inferno, in buona compagnia…

·       Argia, ti prego… parla con loro, gli schiavi, che si nascondano, si allontanino…

·       Volete che li renda invisibili? Trasparenti? Non ci penso affatto. Non vi aiuto certo nei vostri loschi traffici. Meglio il rogo. (ndr: le sue bizzarrie non erano comprese in paese; andò effettivamente al rogo  due anni dopo)

Però, fammi pensare… c’è un’altra soluzione: una paga giusta, otto ore di lavoro, un giorno di riposo, tutto scritto e firmato, e case.

·       Ma che dici! Che stramberie! Questi sono abituati così, non chiedono niente! E otto ore da dove saltano fuori? Lavorano senza sosta, senza lamentarsi! Però se non abbiamo scelta, faremo come dici. L’imperatore arriva domani, dobbiamo sbrigarci.

·       E ora togliti dai piedi, ubriacone ignorante senza idee; tu e i tuoi amici  tornatevene dalla vostra lattuga. E pronunciando queste parole sbattè la porta sul naso del visitatore.

·       Vecchia pazza, odiosa e puzzolente! – Il messo si mise sulla via del ritorno.

L’imperatore visitò il borgo e fece i complimenti al podestà e ai notabili del paese. Mai aveva visto campagne così verdi e monumenti così ben conservati; in particolare rimase estasiato di fronte al clima di armonia e gioia della variegata popolazione.

 

Dopo la partenza dell’imperatore i vecchi strapparono dalle mani degli schiavi i papiri firmati e li bruciarono in un rogo sfavillante nella piazza grande, unitamente a alcune centinaia di libri dai contenuti stupidi e svenevoli che non trovavano posto della biblioteca del luogo. Le luci nella notte entusiasmarono i popolani, già eccitati per la visita dell’imperatore. Il rogo riscosse un tale successo che se ne allestì un altro, due anni dopo.

 

Nb: le parole difficili sono prese da google, e messe lì un po’a caso perché adatte a una fiaba. Me ne scuso.

 

sabato 16 novembre 2024

Correzioni: Cappuccetto rosso, di nuovo!

 

CORREZIONI

Cappuccetto rosso – quarta versione 

Cappuccetto rosso è una bambina buona e ubbidiente. Ogni settimana va a trovare la nonna. La mamma mette nel cestino tante cose buone: il pane, le uova, la torta, le mele e le arance, la verdura. La nonna è vegetariana, non vegana.

Cappuccetto rosso porta il cibo alla nonna, ogni settimana.

La nonna abita distante, nel bosco.

Oggi Cappuccetto  rosso va nel bosco. Ha paura perché è sola e perché il bosco è buio. E nel bosco c’è il lupo.

Cappuccetto incontra il lupo e urla. Il lupo vede Cappuccetto rosso e urla. Cappuccetto scappa via e corre veloce. Il lupo scappa vie, e corre veloce. Corrono corrono corrono…Cappuccetto arriva in america e vince la maratona. Il lupo arriva in India… e sale sull’Himalaya. E continuano a correre.

Corrono corrono corrono…

Il lupo spelacchiato e la bambina vestita di stracci rossi… si incontrano infine. Il mondo è rotondo!

Sono senza fiato.

·        Perché corri?

·        Ho paura. Nel bosco ho incontrato un mostro, tutto nero, e sono fuggita.

·        Oh, ti capisco. Anch’io nel bosco ho incontrato un mostro, tutto rosso!

·        Come, tutto rosso?

·        Sì, rosso…

·        Il colore non è importante, Ti capisco, ci capiamo..

·        Sì, sei come me. Sono come te…

Piangendo si abbracciano.

 

sabato 9 novembre 2024

Documenti

 

Quando mia figlia è tornata dall’australia ho visto un sacchetto di plastica appoggiato sul comodino: conteneva il passaporto. Le ho chiesto: perché? Per non bagnarlo, per non rovinarlo: senza quello non ho niente, non sono nessuno.

Ieri un ragazzo al corso di italiano era in difficoltà a compilare l’iscrizione e, per copiare. ha tirato fuori un sacchetto di plastica con i suoi documenti. Quante vite affidate a un sacchetto di plastica. Appese a un filo.

mercoledì 16 ottobre 2024

Cicale e formiche

 

Cicale e formiche

 

La storia non è nuova: le formiche faticano tutto il giorno trasportando granaglie che qualcun altro mangerà, zitte, in fila indiana. Arriva il canto delle cicale, e il loro riso. Non lavorano mai le cicale, chissà che mangiano. Cantano e ridono… e volano.

Una formica si stacca dal gruppo e sale, sale piano fino in cima al tumulo di terra che custodisce il cibo.

Le altre si fermano: dove va? La seguono con gli occhi.

Giunta in cima la formica solitaria guarda giù.

No, non saltare, morirai.

Lei sta ferma, riflette.

 

La formica  si lanciò.

Che fai? Le formiche non volano, non hanno ali, solo pance grosse e gambette corte…

Saltò, muovendo a caso le zampe e le antenne.

E volò.

La scatola del tempo

 


Nella scatola del tempo metto la foto con Silvia

I sassi dipinti, dipinti con le amiche da ragazzina

Mandami a dire di Roveredo, maestro sconosciuto

Il completo all’uncinetto fatto da mia madre, bellissimo e  testimonianza della sua ereditaria bravura che passa di generazione in generazione

Il mio racconto più riuscito, il mare

Matite colorate e un notes

Un paio di orecchini di bigiotteria, la bellezza

Metterei una lettera scritta a Silvia, ma non è mia

La matriosca, per i colori e per il significato, donnine tutte diverse, prigionere e poi libere in un clic

Un dolcino, il primo che andrà a male

 

Tutta la mia vita, poche cose. Cerco una bella scatola di latta…

martedì 15 ottobre 2024

La prigione

Erano prigionieri sì, ma non se la passavano così male. Avevano un letto, avevano cibo, abbastanza cibo, avevano abiti. Ma erano rinchiusi.

Non sapevano cosa c’era fuori: c’erano racconti, fiabe, leggente di chi fuori c’era stato, o diceva di esserci stato.

Alberi, auto, belle ragazze, mare, belle case, libri, film. No, non ci erano stati: ogni prigioniero parlava di quel fuori che desiderava.

Buio, povertà, cattiverie e urla, tutto ciò di cui altri avevano paura.

Alcuni curiosi cercarono una via. Uno scavò un tunnel e non tornò più. Uno costruì una scala, ma aveva poca legna e la scala era troppo corta. Uno costruì un deltaplano, e cadde a terra.

Infine arrivò lui, che percorse lentamente il muro di cinta accarezzando l’intonaco con le mani,  finchè trovò una sporgenza: una maniglia. A che serve?  E girò. Spinse.

Ecco, il cielo.

mercoledì 26 giugno 2024

TEMA - LA MIA SCUOLA

 

Ho scelto questo tema perché la mia scuola mi piace molto: il mio italiano è molto migliorato;  imparo la grammatica, le parole utili, le informazioni sui servizi utili e sulle attività quotidiane. Certo, la maestra è strana, ma forse le maestre in Italia sono tutte così.

 

La mia scuola è una piccola stanza in un’associazione che aiuta i rifugiati. Ci stavamo in 10. Però, dopo la chiusura delle iscrizioni del CPIA sono arrivati altri studenti. Si sta ben scomodi, ma lei dice: no, non possiamo più accettare… beh, siediti. Arrivati a 16, la maestra si è decisa: ci vuole una nuova sede: avrei un’idea…

Il giorno dopo ci siamo trovati in piazza, davanti al palazzo rosa. Ci siamo arrivati dopo molti messaggi e spiegazioni. Bene, arrivati qui la maestra ci ha guidati nella nuova sede: splendida! Siamo saliti al primo piano per una scalinata principesca, abbiamo percorso corridoi deserti, sala d’aspetto… ed eccoci nella nuova aula. Troppo lusso per un’aula, in verità, che spreco, da me non si usa:  tre file di poltroncine di velluto rosso! Non c’era però la lavagna. Abbiamo comunque fatto lezione: il passato prossimo, difficilissimo. A metà lezione si è affacciato alla nostra aula un signore (il segretario, dice la maestra) che ha osservato con aria stupita. Forse anche lui trovava ostico il passato prossimo. E’ andato via, e poi si sono affacciati altri signori e signore (il passato prossimo non lo digerisce nessuno). Poi è arrivato lui, un signore grassoccio, con pochi capelli, dall’aria gentile. E si è fatto avanti. La maestra ovviamente lo ha invitato a non interrompere (si irrita terribilmente quando la interrompono). E lui ha atteso diligentemente la fine dei participi passati irregolari. Quindi ha chiesto come mai ci trovassimo lì, e lei ha risposto, com’è ovvio, che era la nostra aula.

-        Confortevole, ci saremmo accontentati di qualcosa meno. Però, la lavagna… E manca la luce naturale… ma ci adattiamo, siamo di poche pretese.

Il signore – abbiamo poi saputo che si chiamava sindaco, massima autorità di Matera – sudava ed era visibilmente in imbarazzo.

-        Non so come ha fatto a arrivare sin qui ma la prego… questa sera c’è il consiglio comunale, abbiamo bisogno della sala.

-        Possiamo lasciarle la sala per stasera, nessun problema. Il comune è di tutti, anche vostro. Basta che lasciate in ordine.

Il sindaco sembrava assai irritato, aveva il respiro affannoso. Pensavamo ce l’avesse con noi studenti – studenti e stranieri - e ci volesse mandar via dalla nostra scuola, invece ce l’aveva con lei…

-        Non ne possiamo più delle sue idee balzane, la prego…

-        Abbiamo diritto di stare qui, oltretutto per nobili fini: l’istruzione, l’integrazione, l’avvio al lavoro, e posso trovarne altri se mi dà tempo… Non dite sempre che ci tenete anche voi,  inquilini di questo posto? Poi io vi ho anche votato (o votati… uff, il passato prossimo).

-        Preferirei che non ci  votasse più, ma ci lasciasse stare…

-        Ah, non ci sono più i comunisti di una volta…

-        Le ho già detto mille volte che non sono comunista, peraltro i comunisti non ci sono più…

-        Non ci sono più? Peccato. Comunque domani arriviamo qui alle 17. Ma non per sempre: se magari ci piace andare in un altro posto, in futuro possiamo cambiare. Quante aule possiamo trovare in città…

-        Una buona notizia.

-        Ma lei sul passato prossimo com’è messo?

Il sindaco non ha risposto, stava già uscendo.

 

Consegno il tema alla commissione. Penso che di aver scritto correttamente. Comunico però all’esaminatore che ho avuto un aiutino dall’intelligenza artificiale. La maestra non ha tempo di correggere, insegue sempre nuove idee strambe.