domenica 9 dicembre 2012

La malattia dei tempi


I tempi malati erano il passato prossimo e il futuro, futuro semplice. Da quest’ultima malattia si guarisce a volte, dalla prima no.

Stavo armeggiando da dieci minuti vicino al lucchetto della serranda. Non riuscivo ad aprirlo, era buio pesto e mi stavo innervosendo sempre più, al freddo sotto la pioggia con lo stomaco in subbuglio, quando l’ho visto arrivare: ho visto un uomo un po’ curvo che camminava lentamente sotto l’acqua. Io sono una che si fa gli affari suoi, nella speranza che anche gli altri allo stesso modo lascino in pace me; e sono una che non ha paura di niente.  Non è che mi importasse molto di quel tipo – un ubriaco o un barbone – ma non riuscivo a distogliere lo sguardo: non mi andava di incontrare qualcuno mentre ero lì a terra, cercando di aprire la serranda del negozio. Sì che ci lavoravo lì come commessa, ma non non avrei dovuto certo stare in quel posto a quell’ora, e il mio capo sarebbe stato meglio che non l’avesse saputo. 
Il tipo si avvicinava, ora lo vedevo bene. Era un vecchio vestito in modo buffo: una giacca di lino chiara tutta zuppa, e un cappello a larghe falde – si chiama panama mi pare – che si stava afflosciando sotto il peso dell’acqua.
-          Prof?
Il vecchio si era fermato proprio davanti al negozio, ma non prestava alcuna attenzione a me. Guardava contrariato la serranda abbassata.
-          Prof?
Lui posò finalmente gli occhi su di me, che mi ero alzata in piedi e ora gli stavo di fronte. Mi sorrise appena:
-          La libreria. Lei sa perché è chiusa?
Non sembrava trovare strana la mia presenza lì:
-          Veramente qui c’è un negozio di scarpe sportive.
-          Scarpe? Questa è  la libreria Boffi, e sta qui da sempre. Devo ritirare un libro che ho prenotato.
Mi spiaceva contrariarlo:
-          No, no, questo è un negozio di scarpe. Ne sono certa, ci lavoro da un anno, e da che io mi ricordi è sempre stato qui, non c’è mai stata una libreria.  Ora entriamo e le faccio vedere, sono riuscita ad alzare la serranda. Vede, ho anche le chiavi, apro io al mattino.
Volevo con queste parole rassicurarlo, fargli capire che non ero una ladra, ma non era necessario. Il vecchio mi seguì come fosse stata la cosa più naturale del mondo entrare in un negozio in piena notte.
-  Venga, facciamo presto, così si asciuga un po’.
Faceva un bel calduccio dentro. Richiusa la serranda, ho preso il professore per mano e l’ho accompagnato nel retrobottega.
-          Vede? Scarpe da ginnastica, scarponcini da tracking…
-          Il mi libro, allora, dove sarà? 
-          Poi ci pensiamo. Ora si sieda comodo su questo scatolone, si tolga la giacca e si metta questa felpa bella pesante. Abbiamo anche abbigliamento sportivo, vede? Prodotti di alta qualità. E cos’ha nei piedi? Ciabatte tutte zuppe d’acqua. Metta queste Nike. Lo so, non le piacciono, ma non è il caso di fare il difficile, rischia di ammalarsi..
Il vecchio le lasciava fare, le ubbidiva con la docilità di un bambino, ma non sembrava ascoltarla più.  Si guardava intorno con espressione sorpresa:
-          Lei lavora qui?
-          Certo. E’ un buon posto. Mi confermano il contratto, sa.  Se i vicini dicono al titolare che sono entrata qui  alle quattro di notte come una ladra, magari no… Lei però non pensi male. Sono venuta a rifugiarmi qui perché sono stata a una festa e ho bevuto un po’ troppo, e non mi va di stare a discutere con mio padre…
-          Ma sarà in  pensiero?
-          Starà dormendo. Non mi ha più chiamata. Ma prof, perché mi da del lei?
-          Beh, non ci conosciamo…
-          Sono Arianna, la figlia dei vicini. Non mi ha riconosciuta?
-          Arianna! Sì, sei tu? Ma i tuoi riccioli biondi, cosa gli hai fatto?
-          Prof, questi non sono riccioli, sono dread. Lei si ricorda di quando ero bambina… sì, avevo una ridicola testa di riccioli.
-          E cosa fai qui, in questa libreria - negozio di  scarpe?
-          Ci lavoro, prof. Da quando ho lasciato la scuola.
-          Lasciato la scuola? Questa è bella! E perché mai?
-          E’ lunga da spiegare… Un po’ non mi trovavo con gli insegnanti, poi c’era sempre da discutere a casa. In effetti avevano anche un po’ ragione i miei, non studiavo.
-          E’ un peccato, una ragazza così intelligente! Lo dice sempre anche mia moglie.
-          Davvero prof? – la signora Laura forse diceva così tempo fa, era morta da diversi anni.
-          Certo che le poche volte che sei venuta da me a ripetizioni di latino, che disastro! I tempi, le coniugazioni…
-          Si ricorda? E’ passato qualche anno. Ecco, i tempi… E’ il passato prossimo  il suo tempo malato?
-          Tempo malato?
-          Sì. Non ricorda le cose recenti, e ci resta male. Il mio tempo malato è il futuro. Non c’è cura né per lei né per me, mi sa…
-          Tempi malati. E non c’è cura. Per me no, ma per te… Il mio passato è … un po’ fumoso, ma il tuo tempo… cosa c’è che non va?
-          Il mio futuro…è fumoso pure. Questo lavoro… mi va che sono a tempo indeterminato fra pochi mesi… e sono brava, una buona venditrice, anzi la migliore… ma vendere scarpe per tutta la vita, per i prossimi 50 anni. E poi Alex, il mio ragazzo… a volte non lo capisco… è così… così  vuoto… non so che avvenire ci sarà per noi.
-          Dai retta a me, molla tutto. Riprendiamo da dove eravamo rimasti. Ecco, le lezioni di latino… Ti aspetto domani pomeriggio.
Ho sorriso, scrollando la testa.
-          E ora andiamo a casa. Cosa stiamo a fare qui? 
Ho rimesso in ordine e chiuso tutto. Siamo tornati a casa. Era l’alba. Abbiamo camminato in silenzio, inseguendo  ambedue pensieri fumosi. Prima di rientrare in casa, ho aiutato il professore a togliersi le scarpe da ginnastica e gli ho fatto mettere le sue ciabatte, onde non far insospettire la badante. Poi sono entrata nell’appartamento di fronte, nel silenzio, con i miei che fingevano di dormire.


E’ passato qualche mese da quella sera. Il mio futuro è miracolosamente guarito. Ho ripreso gli studi, ma non ho preso lezioni dal professore, per non metterlo in  imbarazzo. Sicuramente si è dimenticato della sua  proposta, e sicuramente perderebbe il filo durante le lezioni. Il professore lo rivedo spesso, ogni settimana gli riferisco degli studi ripresi. E ogni volta mi dice contento: - Brava, brava, lo sapevo… Gli do la buona notizia, sempre la stessa  ogni settimana, dato che il suo passato prossimo di guarire non vuole saperne. 

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