I tempi malati
erano il passato prossimo e il futuro, futuro semplice. Da quest’ultima
malattia si guarisce a volte, dalla prima no.
Stavo
armeggiando da dieci minuti vicino al lucchetto della serranda. Non riuscivo ad
aprirlo, era buio pesto e mi stavo innervosendo sempre più, al freddo sotto la
pioggia con lo stomaco in subbuglio, quando l’ho visto arrivare: ho visto un
uomo un po’ curvo che camminava lentamente sotto l’acqua. Io sono una che si fa
gli affari suoi, nella speranza che anche gli altri allo stesso modo lascino in
pace me; e sono una che non ha paura di niente. Non è che mi importasse molto di quel tipo –
un ubriaco o un barbone – ma non riuscivo a distogliere lo sguardo: non mi
andava di incontrare qualcuno mentre ero lì a terra, cercando di aprire la
serranda del negozio. Sì che ci lavoravo lì come commessa, ma non non avrei
dovuto certo stare in quel posto a quell’ora, e il mio capo sarebbe stato
meglio che non l’avesse saputo.
Il tipo si
avvicinava, ora lo vedevo bene. Era un vecchio vestito in modo buffo: una
giacca di lino chiara tutta zuppa, e un cappello a larghe falde – si chiama
panama mi pare – che si stava afflosciando sotto il peso dell’acqua.
-
Prof?
Il vecchio si era fermato proprio
davanti al negozio, ma non prestava alcuna attenzione a me. Guardava
contrariato la serranda abbassata.
-
Prof?
Lui posò finalmente gli occhi su
di me, che mi ero alzata in piedi e ora gli stavo di fronte. Mi sorrise appena:
-
La libreria. Lei sa perché è chiusa?
Non sembrava trovare strana la
mia presenza lì:
-
Veramente qui c’è un negozio di scarpe sportive.
-
Scarpe? Questa è
la libreria Boffi, e sta qui da sempre. Devo ritirare un libro che ho
prenotato.
Mi spiaceva contrariarlo:
-
No, no, questo è un negozio di scarpe. Ne sono certa,
ci lavoro da un anno, e da che io mi ricordi è sempre stato qui, non c’è mai
stata una libreria. Ora entriamo e le
faccio vedere, sono riuscita ad alzare la serranda. Vede, ho anche le chiavi,
apro io al mattino.
Volevo con queste parole
rassicurarlo, fargli capire che non ero una ladra, ma non era necessario. Il
vecchio mi seguì come fosse stata la cosa più naturale del mondo entrare in un
negozio in piena notte.
- Venga, facciamo presto, così si asciuga un
po’.
Faceva un bel calduccio dentro.
Richiusa la serranda, ho preso il professore per mano e l’ho accompagnato nel
retrobottega.
-
Vede? Scarpe da ginnastica, scarponcini da tracking…
-
Il mi libro, allora, dove sarà?
-
Poi ci pensiamo. Ora si sieda comodo su questo
scatolone, si tolga la giacca e si metta questa felpa bella pesante. Abbiamo
anche abbigliamento sportivo, vede? Prodotti di alta qualità. E cos’ha nei
piedi? Ciabatte tutte zuppe d’acqua. Metta queste Nike. Lo so, non le
piacciono, ma non è il caso di fare il difficile, rischia di ammalarsi..
Il vecchio le lasciava fare, le
ubbidiva con la docilità di un bambino, ma non sembrava ascoltarla più. Si guardava intorno con espressione sorpresa:
-
Lei lavora qui?
-
Certo. E’ un buon posto. Mi confermano il contratto,
sa. Se i vicini dicono al titolare che
sono entrata qui alle quattro di notte
come una ladra, magari no… Lei però non pensi male. Sono venuta a rifugiarmi
qui perché sono stata a una festa e ho bevuto un po’ troppo, e non mi va di
stare a discutere con mio padre…
-
Ma sarà in
pensiero?
-
Starà dormendo. Non mi ha più chiamata. Ma prof, perché
mi da del lei?
-
Beh, non ci conosciamo…
-
Sono Arianna, la figlia dei vicini. Non mi ha
riconosciuta?
-
Arianna! Sì, sei tu? Ma i tuoi riccioli biondi, cosa
gli hai fatto?
-
Prof, questi non sono riccioli, sono dread. Lei si
ricorda di quando ero bambina… sì, avevo una ridicola testa di riccioli.
-
E cosa fai qui, in questa libreria - negozio di scarpe?
-
Ci lavoro, prof. Da quando ho lasciato la scuola.
-
Lasciato la scuola? Questa è bella! E perché mai?
-
E’ lunga da spiegare… Un po’ non mi trovavo con gli
insegnanti, poi c’era sempre da discutere a casa. In effetti avevano anche un
po’ ragione i miei, non studiavo.
-
E’ un peccato, una ragazza così intelligente! Lo dice
sempre anche mia moglie.
-
Davvero prof? – la signora Laura forse diceva così
tempo fa, era morta da diversi anni.
-
Certo che le poche volte che sei venuta da me a
ripetizioni di latino, che disastro! I tempi, le coniugazioni…
-
Si ricorda? E’ passato qualche anno. Ecco, i tempi… E’
il passato prossimo il suo tempo malato?
-
Tempo malato?
-
Sì. Non ricorda le cose recenti, e ci resta male. Il
mio tempo malato è il futuro. Non c’è cura né per lei né per me, mi sa…
-
Tempi malati. E non c’è cura. Per me no, ma per te… Il
mio passato è … un po’ fumoso, ma il tuo tempo… cosa c’è che non va?
-
Il mio futuro…è fumoso pure. Questo lavoro… mi va che
sono a tempo indeterminato fra pochi mesi… e sono brava, una buona venditrice,
anzi la migliore… ma vendere scarpe per tutta la vita, per i prossimi 50 anni.
E poi Alex, il mio ragazzo… a volte non lo capisco… è così… così vuoto… non so che avvenire ci sarà per noi.
-
Dai retta a me, molla tutto. Riprendiamo da dove
eravamo rimasti. Ecco, le lezioni di latino… Ti aspetto domani pomeriggio.
Ho sorriso,
scrollando la testa.
-
E ora andiamo a casa. Cosa stiamo a fare qui?
Ho rimesso in ordine e chiuso tutto. Siamo tornati a casa. Era l’alba.
Abbiamo camminato in silenzio, inseguendo
ambedue pensieri fumosi. Prima di rientrare in casa, ho aiutato il
professore a togliersi le scarpe da ginnastica e gli ho fatto mettere le sue
ciabatte, onde non far insospettire la badante. Poi sono entrata
nell’appartamento di fronte, nel silenzio, con i miei che fingevano di dormire.
E’ passato qualche mese da quella sera. Il mio futuro è miracolosamente
guarito. Ho ripreso gli studi, ma non ho preso lezioni dal professore, per non
metterlo in imbarazzo. Sicuramente si è
dimenticato della sua proposta, e
sicuramente perderebbe il filo durante le lezioni. Il professore lo rivedo
spesso, ogni settimana gli riferisco degli studi ripresi. E ogni volta mi dice
contento: - Brava, brava, lo sapevo… Gli do la buona notizia, sempre la stessa ogni settimana, dato che il suo passato
prossimo di guarire non vuole saperne.
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