mercoledì 8 febbraio 2012

Il mare


Com’è bello vivere al mare!
Io ho la fortuna di vivere in una città di mare. Ogni mattina appena apro gli occhi non vedo l’ora di buttarmi giù dal letto e precipitarmi là, in riva al mare, e vedere com’è… com’è il mare...
Mi lavo la faccia in un attimo, lasciando l’asciugamano spiegazzato sul cesto della biancheria, afferro lo zaino e scappo via. Mi scapicollo giù per le scale, e mentre scendo sento la mamma che urla: la colazione!
Giù in strada corro per venti metri, fino al punto in cui il vicolo si congiunge al lungomare. E mentre avanzo veloce cerco già di vedere com’è...
Oggi è nuvolo, il cielo è di piombo, e come mi aspettavo le acque sono scure e opache, mosse e increspate; tra poco si alzeranno onde alte e violente. Guardo fin dove finisce l’erba, dove si spinge il mare. Qui non c’è sabbia, e ci sono pochi scogli, si passa dal prato all’acqua salata. Arrivano gli spruzzi. Il mare è bello anche così. E’ bello sempre.
Mi siedo sull’erba umida. E’ presto, posso stare a guardare le barche che passano. Ecco al largo la nave che ha salvato la piccola Sara, c’è tutti i giorni, con ogni tempo. Ecco un motoscafo imprudente che fa ritorno in tutta fretta al porticciolo. Non c’è oggi la canoa con il ragazzo e il papà, che sfreccia veloce quando il mare è piatto.
In questa stagione le acque sono quasi sempre calme. Tutti i giorni mi siedo qualche minuto qui ad osservare l’orizzonte, pensando: chissà dove finisce il mare… E’ il momento più bello della giornata. Poi mi avvio a scuola, costeggiando le aiuole verdi, guardando in giro.
Sembra non succeda mai niente qui, ma non è vero. La storia di Sara è nota, è una bella storia, ma ce ne sono altre. Un giorno la cagnolina nera, Luna, si è addentrata nelle acque profonde vedendo qualcosa di colorato galleggiare, e poi ha avuto paura, non sapeva tornare: aveva paura delle barche. E io, che del mare non ho paura, sono corso a salvarla.
Tutte le mattine mi fermo a sentire le novità dal marinaio che ripara le reti. Mi fermo poi dal panettiere a prendere la focaccia, specialità di questi posti di mare.
Passo davanti alla chiesa: forse questa è l’unica chiesa che si affaccia direttamente sul mare, enorme imponente chiesa gotica. E il fatto che il mare sia calmo o tumultuoso, azzurro o grigio, deserto o affollato di barche, dà un senso diverso alle preghiere e ai canti. Ospita un dio ora dolce e comprensivo ora arrabbiato con gli uomini, ora allegro per il buon operato dei suoi figli ora triste e sconsolato per i loro peccati. E non sapete che paura fa questa enorme chiesa quando le onde nere, alte e rumorose, sembrano alzarsi fino alle guglie, per frangersi poi ai suoi piedi, fino a sommergere la scalinata! Sono braccia e pugni sollevati al cielo da un dio cattivo. Un dio forte e muscoloso: volto teso e severo, braccia possenti, grandi mani. La delusione per una debolezza umana diventa rabbia, ira. Mi sembra strano che Dio si arrabbi così: ma forse non è Dio, è Nettuno.
Ai miei genitori non piace il mare, non so perché, e non vogliono che ne parli. Mia madre dice che le mie sono fantasie, che qui non c’è il mare, che al mattino costeggio nient’altro che una strada trafficata. Che il vecchietto non ripara le reti, è un calzolaio. Che non esiste nessuna canoa, quel che posso aver visto è un tandem, una bici a due posti con il papà e il bambino, che passa di lì ogni mattina. Che Sara esiste sì, ma non è stata salvata da un marinaio, ma da un operaio dell’amiu, che l’ha poi adottata. E il ragazzo trovato esamine in riva al mare non era uno straniero in fuga dal suo paese su un barcone, ma un tossico qualunque. E non c’è Nettuno sulla facciata della chiesa: nessun dio è rappresentato, ha guardato bene. Ed è pericoloso stare in giro quando è buio, c’è brutta gente in giro. E non devo raccontare del mare a tutti perché potrebbero ridere di me. E non posso inventarmi il mondo: il mondo è questo: un nastro grigio, macchine e persone che corrono indifferenti e frettolose. E non devo diventare come lo scrittore sotto casa, uno che si inventa la vita… La mamma sembra non riuscire più a fermarsi quando fa questi discorsi. E quasi quasi si mette a piangere. Così non le parlo più del mare. Ma nei miei giochi in strada continuo a cercare messaggi di naufraghi nelle bottiglie e conchiglie contenenti perle preziose.
Il tempo per fortuna si è aggiustato, e si è fatta una bella giornata. I pescatori scaricano le casse, è stata una pesca abbondante; sono allegri, ridono e scherzano. Nettuno è tranquillo al suo posto sulla facciata della chiesa. I ragazzi si baciano.
Il mio sogno è sempre stato trovare una sirena in riva al mare. Ieri sera è successo. Non lo dirò a casa, non lo dirò a nessuno.
Aveva un bel viso, dolce e regolare, capelli lunghissimi, occhi chiusi. L’ho trovata coricata sull’erba, vicino all’acqua. Indossava un vestito scollato, sembrava un abito da sera, tutto di scaglie verdi e argentate, lungo fino ai piedi. Fino a dove avrebbero dovuto esserci i piedi e non c’erano. Pensavo alla fiaba, a chi avrebbe salvato la sirena, ma non c’era nessuno in giro. Ho alzato gli occhi a Nettuno per vedere se aveva suggerimenti sul da farsi, ma sembrava inespressivo, anzi forse un po’ contrariato. Avrei voluto baciarla per risvegliarla, ma sono solo un bambino, non avrebbe funzionato. Poi il bacio rianima biancaneve e la bella addormentata, ma non la sirenetta, non mi pare. Mentre ci pensavo si è risvegliata. Ha sbattuto le ciglia come nelle fiabe, ha aperto gli occhi, si è alzata. Mi ha visto e, cosa incredibile, mi ha sorriso. Si è sistemata l’abito alla bell’e meglio e si è allontanata con passo ondeggiante, in equilibrio precario sulle pinne argentate come fosse stata un po’… insomma, un po’ sbronza. Piccola bella dolce elegante sirena ubriaca... Non ha parlato, una sirena non sa parlare. Ma mi ha mandato un bacio, appoggiando una mano sulle labbra. Chissà dov’era diretta. L’ho seguita con gli occhi mentre si immergeva lentamente nell’acqua grigia, scomparendo nel profondo.
Tornerà. Tutti i giorni passo di qui e controllo se ci sono messaggi nelle bottiglie che il mare porta. Hanno odore di birra salata. Le etichette parlano di lei, ma non danno indicazioni precise sul suo ritorno: passione autentica, sogno infinito. Cerveza, ceres, cosa vorrà dire.
Guardo le barche che passano, cerco i pescatori per sentire le ultime novità, saluto le persone che portano a spasso il cane sul lungomare.
Lei tornerà un giorno, e allora io sarò grande. Quel giorno non ci sarà tempesta, l’acqua sarà calma, limpida e azzurra, e Nettuno se ne starà buono e zitto.
Non sono triste. La aspetto. Solo vorrei poter parlare di lei e di tutte le cose meravigliose che avvengono qui. Vorrei parlarne con tutti quelli che conosco e con quelli che non conosco. Perché sappiano com’è bello vivere ad Alessandria, città di mare.

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