mercoledì 29 febbraio 2012

La pensione


Spett.le direttore del personale,

Scusi se disturbo direttamente Lei, dovrei scrivere ai suoi collaboratori, lo so bene, ma ho una situazione grave da sottoporle.
Mi presento:
sono Paola Rossi
matricola 02025, i miei dati sono in calce a questa mail.
Veniamo al dunque:
ho ricevuto stamattina una lettera che porta la sua firma.
Dice sono in pensione dal mese prossimo.
Ma ci dev’essere un errore.
Da tempo ci penso – alla pensione intendo - e ne parlo,
ma è presto…
Da tempo penso a come impegnerò il mio tempo,
e veramente non trovo poi tante cose per riempire il mio tempo.
E poi ho sempre pensato che questa lettera vuol dire
invecchiare
e poi morire.
Ma tanto è evidente,
questa lettera è un errore.
Rileggo attentamente controllando l’ortografia e i congiuntivi,
qui cadono i colleghi buontemponi
quando fanno questi scherzi idioti.
Ma i congiuntivi sono a posto, la lettera è perfetta.
E mi guardo in giro alla ricerca di qualcuno che ridacchia
nascondendosi dietro una mano.
Niente.
Mi scusi, direttore del personale,
che roba è questa?
Mi spieghi, è necessario che qualcuno mi spieghi, e che meglio di Lei,
altrimenti qui finisce che mi metto a piangere…

Alzo gli occhi e vedo Claudio,
che ha due anni di anzianità più di me.
E lì come al solito intento a controllare le quadrature…
E non ha nessuna lettera davanti.
Direttore, sa cosa le dico?
Io di qui non me ne voglio andare…
Lo so, lo so, tutti invocano la pensione…
Io no.
Perché qui ho tanti ricordi
che diventeranno ricordi di uno che è in pensione,
che le cose di cui parla non le ha più.
Invece i miei ricordi sono parte della mia vita di adesso e di me.
Ecco che si avvicina un cliente agguerito con una carta bancomat in mano
e fa per chiedermi perché non funziona.
Mi guarda e vede gli occhi lacrimosi,
e si allontana, senza le consuete proteste,
cercando un altro impiegato.

Direttore,
lo so, la mia nostalgia ai suoi occhi è fuori luogo.
Ma io mi ricordo bene, come fosse ora,
di quando ho mandato al protesto una cambiale che scadeva… l’anno dopo,
questo è successo circa… una trentina di anni fa, per una serie di sviste su cui non mi dilungo.
Quando me ne sono accorta era troppo tardi.
E di sabato mattina avrei voluto andare alla cancelleria del tribunale,
a parlare col funzionario e a far notare che c’era un errore,
per non far protestare qualcuno ingiustamente.
Ma mio marito si era arrabbiato all’idea che di sabato
io mi preoccupassi di una cosa di lavoro.
Allora ho telefonato a Claudio,
che mi ha detto che sarebbe andato lui,
tanto aveva delle commissioni da fare in centro.
E il cliente fu salvo.
E io pure.
Se devo pensare a un bel ricordo mi viene in mente questo,
anche se ce ne sono , sicuro, molti altri.
Mi piace pensare che Claudio, di sabato mattina,
per sistemare un errore non suo,
sia andato alla cancelleria del tribunale,
alla ricerca del funzionario preposto ai protesti.
E sono certa che non aveva commissioni da fare in centro.
E non mi ha nenche chiesto
come mai non ci potevo andare  io.  

Ma ci sono anche ricordi brutti, sa,
non creda che io sia poi così vecchia da vedere
un passato tutto roseo.
Ecco qui il mio ricordo nero:
la prima qualifica,
la pagella ricevuta nel lontano 1979,
alla fine de primo anno di lavoro.
Era bruttissima,
forse la più brutta della banca.
Eppure io ero bravina, diligente, precisa,
certo che sì…chieda, chieda in giro se vuole…
Beh, imbranata e un po’ svanita…
in questo uguale a ora.
I colleghi di oggi
attribuiscono la mia distrazione e smemoratezza
alla stanchezza dei neuroni,
ma ero già così.
E in quel foglio odioso
il suo  predecessore aveva scritto
nel lontano 1979
che ero scarsa in tutto.
“Discreto”:
soglia del licenziamento.
Quella sera ero andata a casa molto amareggiata,
con la qualifica ripiegata in borsa,
E non ho avevo osato parlarne con i colleghi amici
compagni di viaggio, tutti ventenni o poco più,
- partivamo insieme alle sei di mattina per tornare alle sette di sera -.
E quando Elisa mi disse della sua di qualifica - ben due punti più su –
non immaginava della mia disgrazia,  
capì solo quando mi misi a piangere.
Ammetto di avere la lacrima facile.
Elisa e io eravamo compagne di scuola,
molto brave in tutto,
ma io un po’ di più, a dire il vero.
Ed era proprio fortunata lei, ben più di me,
perché si sarebbe sposata a giorni e avrebbe avuto una casa sua in città.
E aveva anche una bella qualifica.
Faceva il revisore.
Lei ricorda che una volta c’era il revisore? Sì, quello che controllava e  regolarizzava gli assegni.
Lavoro difficile e di grande precisione E lei era una sveglia e veloce.
Io il revisore l’ho fatto per poco tempo, e senza eccellere.
Sbagliavo le battute, per mandare via gli assegni, un disastro.
Stavo attenta, ma era più forte di me.
Quella prima qualifica è stata una vera tragedia per me.
Dice che esagero?
E’ stato un grande insuccesso per me come persona.
Ma ho imparato molto.
Di me, intendo.
Non accettavo l’ingiustizia.
Non ho voluto chiedere aiuto al sindacato, perché era una questione personale.
Ho compilato le note in calce ai giudizi con tutte le osservazioni più fredde che potevo sulla mia condotta.
Non sapevo fare le battute ma almeno sapevo scrivere.
La qualifica è stata modificata senza fare ricorsi,
e il direttore di allora si è scusato
dicendo ce gli ero sembrata poco collaborativa
perché non gli parlavo mai
e non gli sorridevo.
In effetti non avevo mai niente da dirgli,
perché avevo 19 anni e lui era vecchio...più o meno come me ora.
Chissà cosa indendeva con quell’osservazione.
Comunque avevo fatto pace con la banca,
la mia pagella era accettabile,
anche se non certo  bella come quella di Elisa,
ma non mi importava.
Sorridevo persino al direttore, ogni tanto.
Ero orgogliosa di me, del mio coraggio nell’affrontare Lei,
cioè non Lei,
chi era lì al posto Suo allora.
Ma aspetti, ora mi viene in mente una cosa:
e se fosse rimasto il “discreto”
avrei retto il colpo?
Sarebbe cambiata la mia vita?
Avrei magari cercato una via diversa, più adatta a me.
Perché in fondo la banca io non l’avevo scelta.
non potevo indirizzarmi a studi lunghi,
mancavano i soldi,
e la banca era la via più facile.
Ma con i rispami di un anno di lavoro nel ‘79
avrei potuto andare all’università,
almeno iniziare,
e studiare le cose che mi piacevano.
Avrei potuto diventare una prof, certo, una brava prof di lettere,
o una giornalista,
voglio osare…
una scrittrice, è troppo?
Scusi,
quasi quasi,
ora che ci penso,
già che siamo qui,
le chiederei un piacerino.
Ma no, non stia a sbuffare,
un piacerino piccolo piccolo…
non è che lei potrebbe…
Riprendere la mia qualifica, quella del ‘79
Massì, la trova  subito.
Nel suo armadio c’è sicuramente una pila di fogli spiegazzati e ingialliti,
cerchi in fondo…
Ecco, l’ha trovata? bene!
Ma cosa fa?
Cosa scrive?
Distinto?
Come Elisa…
Ma no, cos’ha capito! Non voglio questo...
Poi non lo meritavo mica quel giudizio…
Un voto regalato, non c’è gusto.
E’ un altro l’aiuto che chiederei…
Prenda l’allegato con le note scritte con la macchina da scrivere - i computer non c’erano ancora -.
Ecco, basta che Lei tiri una bella una riga sulle note e lasciando il giudizio originario così com’era in origine …
Così, offesa, me ne vado.
Per una nuova vita.
Come dice?
Non va, non si può?
E’ passato troppo tempo? Non si torna indietro…
Forse ha ragione Lei sa, 
allora bruciavo per la sconfitta, non volevo altre opportunità.
Dato che mi sentivo dire un no, allora volevo quel che mi veniva negato.
E vuole che le dica?
Sono ancora così.

Stavo dimenticando del perché le scrivo.
Ecco, mi confermi se la lettera è vera, se davvero l’ha scritta Lei,
Lei che non so chi è,
in quale città vive e lavora
quanti anni ha,
se ha famiglia,
se ha fatto magari il revisore,
e che qualifica…,
beh, questo non è da chiedere.
Lei è solo una firma
In calce a questo foglio.
E se è un sì,
se proprio devo andare, vado.
Perché voglio restare?
Un po’ gliel’ho già detto, invecchiare non mi va.
E poi qui ho i mei amici e poi il mio lavoro …è bello, è vario…
Me ne sto seduta alla scrivania di fronte all’entrata
Vedo tutti, conosco tutti, due parole…un bel mondo.
Scusi?
Lavoro pure, ci mancherebbe.
Ma… vuol sapere che fine ha fatto Elisa?
Lei lo deve ben sapere…
E’ direttore da qualche parte.
Che dice? Invidiosa io?
La volpe e l’uva….io? ma la smetta…

Il mio capo attuale mi considera un discreto pezzo di antiquariato
- perché ormai ho un capo più giovane di me, che somiglia pure a un attore - ,
E dice
basta che stai qui e sorridi…
Anche lui?
Ma forse non intende gli stessi sorrisi.

Sono convinta che è tutta una finzione,
ma è mezz’ora che scrivo
e non ci sono segnali evidenti di uno scherzo.
Ecco
premo
Invio
La mail è partita.

Ohhhh finalmente!
La sveglia!
Era ora!
Ma non sono nel mio letto.
Dov’è Luna.
Sono ancora in ufficio!
Questo sogno non finisce mai…
Ma la suoneria non smette…
- Sveglia Paola! Non senti la sirena?
  La prova antincendio! E’ una settimana che telo dico, dove vivi?
  Sbrigati.
- La prova antincendio? Che si fa?
- Uff, basta seguire le frecce verdi.
   Scendi dalle nuvole!
   Ma… stai bene? Cos’è quella faccia?
 - Niente – e sorrido.
   Sorrido!

Passiamo dal portellone antipanico.
Ci fa uscire Claudio.
- Il comandante lascia per ultimo la nave.- la battuta di un collega in realtà dice proprio il vero,
il comandante della nave è lui.
Siamo tutti nel viale, con l’allegria di ragazzini che hanno tagliato da scuola..
La gente ci guarda stupita,
pensando forse a una bomba o a una rapina.
Le spiritosaggini si sprecano.
- Il dir dov’è? Si butterà del primo piano?
Come sanno essere sciocchi i bancari…
Ora si può andare, tutti a casa…
- Non si timbra in uscita?
- No, non si timbra.
Prendo la bici e volo via.
Voglio tornare presto per rassicurarmi che nel cassetto
non ci sia più la lettera,
la Sua lettera…

NB: è tutto vero? Insomma, sì, tutto vero… quasi tutto. Claudio non si chiama Claudio, ma è lui, è proprio come nella storia. Non era nella scrivania di fonte mentre leggevo  la lettera, perché era in ospedale per un intervento. E nessuno di noi è andato a trovarlo. Non era lì mentre leggevo la lettera, anche perché la lettera non l’ho ricevuta.  Il resto è tutto vero. Salvo che tutti questi amici e questi sorrisi…non ci sono. E mi sento sola, come ai tempi della ridicola pagella. Ma questo bell’ambiente che descrivo non è una menzogna, è un sogno.
Non per il lavoro. Per il mondo.

    

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