Il re era
triste. E quando un re è triste è una gran disgrazia: perché un re triste non
può ben governare, non può nella melanconia avere a cuore il bene dei suoi
sudditi. Non può pensare alle arti e alle lettere, alle bellezze della natura,
all’avvenire dei fanciulli, alla
necessità di sollevare il suo popolo dalla povertà materiale e morale. Diventa
a tutto ciò indifferente a causa del suo
umore grigio.
Questo successe al nostro re: e
ancora oggi ne conserviamo il terribile ricordo.
Ma ecco come andarono le cose. Il
nostro paese viveva in pace. Aveva tante risorse: terre fertili, sole, boschi,
acque, nonché il proverbiale ingegno delle nostre genti. Non era certo ricco, ma una grande ricchezza
possedeva, fatta si sogni e di speranze. Il nostro re ci parlava di un grande
avvenire che andava costruendo, e il nostro popolo lo seguiva docile.
Ma un giorno
successe che, per colpa di un maleficio architettato da chissà quale nemico –
che lui nemici non aveva mai avuto – lo cambiò dal giorno alla notte. Si chiuse
nella stanza più alta della torre più alta del suo castello, ed espresse il
desiderio non vedere più alcuno; non si occupò più del suo popolo, che tanto
aveva amato sino ad allora. Una nebbia grigia calò su tutto il paese. Arrivò
notizia del suo malessere sino ai confini del regno, e tutti gli abitanti
persero l’abituale allegria e la speranza. Nel paese non si cantava né si
suonava, né si componevano più rime; non si lavorava più. Uniche a rimanere operose furono le cento
sarte del reame impegnate a confezionare fazzoletti ricamati per asciugare le
ragali lacrime.
I sovrani dei
paesi vicini vennero a sapere della tristezza del re e dei suoi sudditi, e non
poterono rimanere a ciò indifferenti, piombando anch’essi nello sconforto.
Allora le menti più nobili del
mondo intero si mobilitarono per la salvezza del re triste. Unirono i loro
sforzi per cercare qualcosa che potesse restituirgli la gioia di vivere, e
decisero di portargli dei doni in occasione dell’anniversario del regno. Tutto
ciò che di più bello esisteva al mondo doveva essere deposto ai piedi del re
triste, al fine di risvegliarlo.
Per primo venne un grande
musicista, da oltre oceano. Un enorme pianoforte fu portato a spalle dai servitori sino in cima alla torre. Il re accolse il maestro in abiti dimessi,
senza corona sul capo, smagrito e dal viso pallido e consunto, quasi
irriconoscibile. Dinnanzi a tale visione
il pianista si impietosì e commosse a tal punto da esibirsi nella sua
interpretazione più intensa di “per elisa”, divenuta memorabile. I sudditi intorno al castello
ascoltarono commossi. Restarono in attesa, ma non successe nulla. Il sovrano
non si risvegliò. Nessuna emozione trapelò dal suo volto. Anzi, agli occhi dei
servitori parve ancora più affranto e lacrimoso
I saggi non si persero d’animo.
Mandarono il giardiniere, a mostrare la rosa più bella dei giardini reali, che
egli un tempo amava tanto: un fiore raro, una rosa blu.
Il poeta lesse versi toccanti; il
re vide smeraldi neri, ramarri, invenzioni mirabolanti, giochi di prestigio. Si
avvicendarono al suo capezzale artisti e maghi, letterati e acrobati, teatranti
e scienziati. Ma non una smorfia di curiosità animò mai il viso del re. Niente
fu in grado di smuoverlo dal suo torpore
Quando i
saggi sembravano aver perso ormai ogni
speranza arrivò il re della Norvegia, accompagnato dalla nipote adolescente, bionda e bellissima, che compì
il miracolo. Il re triste, intenerito dalla dolcezza e dalla grazia della fanciullina,
riprese a sorridere. Le parlò, si interessò alle cose della sua vita di
bambina, la accarezzò con grande tenerezza, dimostrando di essere di nuovo
l’uomo di valore di un tempo. Diede prova, oltre che della sua sensibilità,
anche di grande generosità, e ricoprì d’oro la fanciulla che lo aveva salvato.
Tornò a farsi vedere in pubblico,
bello ed elegante come il popolo lo ricordava; la corona tornò ben salda sul
suo capo (anche per nascondere la incipiente regale calvizie).
Nel paese tornò la serenità; il
popolo riprese a lavorare e a sperare.
Il vecchio re per la verità non dedicava più molto tempo agli affari di stato,
si interessava ormai unicamente ai festeggiamenti e alle guerre, come si conviene ad un sovrano.
Al resto pensavano i suoi validi consiglieri.
E che ne fu
del re di Norvegia e della nipotina? Il primo tornò a governare, mentre la
nipotina rimase al castello, dove sembrava trovarsi molto a proprio agio: la
residenza era grande e lussuosa. Si intratteneva con la servitù, giocava con le
bambole, passeggiava per il parco,
si arricciava gli stupendi biondi
capelli e faceva bagni profumati con petali di rosa. Ogni giorno dedicava le
prime ore del pomeriggio al re. Le cameriere sapevano che la fanciulla cantava
e danzava per lui, ma erano incuriosite da tanta assiduità; si appostarono un
giorno dietro la porta della camera del sire: videro la giovinetta, vestita al
solito come una principessa - con un abito un po’ troppo corto per la verità
- che con una piuma di struzzo faceva il
solletico ai piedi regali.
E il re rideva rideva rideva….
La notizia
fece il giro di tutto il reame, varcando persino i confini, e “il paese della
poesia” fu da quel momento nominato ”paese delle piume”. Numerose fanciulle si
offrirono per sollevare il re dalla malinconia. Fecero confezionare abiti di seta,
si arricciarono i capelli, colorarono le guance, e si recarono alle porte del
castello, attendendo pazientemente il proprio turno.
I sudditi furono lieti di offrire
le proprie figlie, non tanto per i doni che ricevevano in cambio, quanto per il
bene del re e dell’intero popolo.
I sudditi i quali avevano, ahimè, solo figli maschi si
consolarono presto per il fatto che il re trovò loro una degna occupazione: li
inviò soldati nelle numerose guerre intraprese al fine di portare in patria
ricchi bottini, che egli non teneva per sé ma elargiva alle fanciulle.
La vita nel regno cambiò:
scienziati, poeti, musici, indovini e acrobati, dimostratisi incapaci di dare
sollievo alle sofferenze del re - e quindi del popolo tutto - furono cacciati
oltre confine. Andarono vagando di villaggio in villaggio, vivendo di
elemosine, ricevendo di quando in quando un pasto caldo da qualche anima
buona..
I laboratori degli scienziati e
dei maghi furono adibiti a botteghe in
cui pettinare e arricciare i capelli delle fanciulle del re; gli alambicchi e
le provette che avevano visto nascere l’elisir di lunga vita e tante cure
miracolose contenevano ora nuovissime
tinture per capelli e permanenti.
Il parco reale, in cui era un
tempo possibile vedere piante tropicali e rose blu, lasciò il posto ad un
allevamento di struzzi e galline, che avrebbero fornito le piume necessarie al
sovrano in gran quantità.
Le scuole, ormai deserte,
ospitarono corsi di danza. Le inutili biblioteche vennero svuotate e messe a
disposizione delle cento sarte del re, che non erano più dedite alla produzione
di fazzoletti ricamati, ma di abiti all’ultima moda per le fanciulle.
I libri furono bruciati sulla
piazza antistante al castello, e un enorme rogo illuminò l’intero reame, per la
felicità delle fanciulle in attesa alle
porte del castello, del re e di tutti i sudditi. Che vissero appunto felici e
contenti…
Dopo secoli e
secoli di tanta serenità successe una notte che uno dei mendicanti rifugiatisi
sulle montagne fece un brutto sogno. Dopo aver mangiato una porzione assai
abbondante di pasta e fagioli e un avanzo di stufato, innaffiati di buon vino
rosso, presso l’oste pietoso di una locanda sperduta, fece un sonno pesante, disturbato
da strani sogni . Gli ospiti della locanda gli sentirono pronunciare frasi insensate, versi
incomprensibili, specie di formule magiche…
E per colpa di uno stufato la
storia cambiò.
Il giorno seguente una fanciulla
del reame, mentre aspettava che la sarta finisse il nuovo abito per la festa
del re (ce n’era una ogni settimana) andò in solaio, e lì scoprì una strana
macchina impolverata e arrugginita, con sopra un grosso coperchio nero, e una
enorme campana che la sovrastava. Incuriosita soffiò via la polvere, e,
pensando che l’apparecchio servisse per asciugare i capelli, girò la manovella.
E quale non fu il suo stupore quando, unitamente a una nuvole di polvere, una
musica dolce e sconosciuta riempì la stanza.
Nello stesso momento un soldato
di ritorno dalla guerra sorvegliava un giovane prigioniero, destinato
all’allevamento di struzzi del re: lo straniero cominciò a cantare la sua terra
perduta, i suoi cari, la sua gente…e mai furono udite note più struggenti.
Nel contempo un bottegaio trovò,
rovistando nella dispensa, un volume recante la scritta “sussidiario”, per una
qualche disattenzione sfuggito al rogo di tanti anni prma. Decise di
utilizzarlo per avvolgere le bistecche di struzzo che vendeva in quantità -
degli struzzi qualcosa si doveva ben fare, una volta spennati -. E così un mare
di versi, di formule, di imprese eroiche, di belle immagini si riversarono sul regno.
E una
splendida barbarie cominciò…
Cara Anna Zucca, sono felice di avere ritrovato il suo blog,pensavo di averlo perso con la chiusura di splinder. Ho commentato quache racconto engli ultimi giorni e come forse ricorderà mi sojo piaciuti davvero molto, nche se quello della raccolta differenziata non sono pèiù riuscita a leggerlo per le lacrime...
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