Era il cielo più buio che avesse mai attraversato. Più buio
e più silenzioso. E più deserto. Non una luce, non una cometa – era pur natale -, non una costellazione, non
una stella cadente, non una stella qualunque. Non una farfalla, un’ape, un
passero, neppure una zanzara…
La lucciola volteggiava sola, senza sapere dove era diretta.
A un certo punto si alzò il vento, e il cielo buio si trasformò in un mare in
tempesta. …Alte onde la sbattevano in ogni direzione. Un grande fragore,
proprio come una burrasca. Un’onda più alta la fece atterrare su di un atollo.
Era un piccolo atollo, una specie di scoglio roccioso. Restò aggrappata lì, spaventata
e ansimante, col cuore che batteva a mille. Incastrata fra due spuntoni di
roccia, stremata, si addormentò.
L’astronave volteggiava. Il comandante aveva perso il
controllo, forse.
Si fermò all’improvviso. Adelaide attese che la tempesta siderale
si placasse. Uscì, nuotò nel vuoto, dirigendosi verso l’atollo. Afferrò
saldamente uno scoglio, e si issò su. Era lì per curiosità, non aveva mai visto
una lucciola, non ce n’erano su Eden. Per un attimo si allontanò dai pensieri
confusi in cui si era addentrata. La lucina minuscola si accendeva e spegneva a
intervalli regolari. Era viva, il corpicino tondo si sollevava e si abbassava
in un sonno sereno. Si sentiva un respiro lieve, interrotto ogni tanto da un
sospiro più profondo. Chissà da dove veniva e chissà se parlava. Il pianeta più
vicino era la terra, probabilmente si trattava di un abitante di quel mondo. Assorbita
da questi pensieri attese pazientemente il risveglio della lucciola. L’avrebbe accolta
con un saluto amichevole in una delle lingue più diffuse sulla terra. Ma quando
la lucciola aprì gli occhi e cominciò a sbattere le ali spaventata, un sorriso
bastò.
La lucciola scrutava Adelaide da capo a piedi, incuriosita e
timorosa. La trovava buffa, con quel ridicolo costumino dorato che lasciava
scoperte gambe lunghe e bianche che penzolavano giù dall’atollo, i capelli lunghi
di paglia e gli occhi chiari col trucco nero pesante.
Adelaide trovò naturale la perplessità della lucciola. Allora
le parlò. Spiegò che veniva da Eden, posto meraviglioso. Voleva dire
paradiso. Era orgogliosa di appartenere
a quella terra.
Un luogo che non conosceva bisogno né violenza. Un pianeta
piccolissimo – e fece segno con la mano verso un punto indefinito dello spazio
-, che gli astronomi avevano sino ad allora confuso con un detrito vagante. E
questo oblio aveva giovato alla quiete e al progresso di Eden.
La lucciola ascoltava seria e attenta.
-
Progresso…il progresso in verità ha avuto ormai termine,
la perfezione è stata raggiunta mille anni fa. Società perfetta la nostra,
esseri perfetti i suoi componenti. Gli abitanti di Eden nascono già così, belli,
intelligenti, portati per le arti, la musica, le lettere, cioè perfetti,
programmati per una vita felice. Non soffrono, non si ammalano, non desiderano
cose impossibili, non conoscono inganni e tradimenti... Muoiono, ma sarebbe
meglio dire che la loro vita ha una scadenza. Il loro tempo finisce. Tutto
programmato.
La lucciola ascoltava, e intanto cercava nel blu quel punto
minuscolo…
-
Come dicevo, non c’è molto spazio su Eden, ma
l’intelligenza dà sempre soluzioni: gli abitanti del pianeta vivono in un
flusso virtuale, specie di 3d, che contiene tutto ciò che rende vivace
l’esistenza, amicizie, affetti, amori, luoghi, suoni, sapori… stanno fermi, e
la vita gli gira intorno.
La lucciola abbassò le ali, con espressione poco convinta.
-
E’ mondo di uguali, senza poteri, senza ingiustizie, senza
risorse cui ambire, dato che le risorse sono di tutti.
Sorrise timidamente la lucciola, e la sua luce di fece più
bianca. Vicino alla splendida edeniana si sentiva così goffa, con la sua pancia
tonda luminosa, simile a una lampadina, e le sue ali tozze.
-
Ma un problema c’è su eden, un unico problema ma assai
grave, che è stato tenuto segreto ai più. – continuò Adelaide. - I tre saggi, i controllori della perfezione, sanno
da tempo che l’enorme quantità di energia che alimenta la perfezione e riscalda
le uova nella grande incubatrice comporta degli inconvenienti.
-
Incubatrice?
-
E’ la macchina che ha dato a tutti noi la vita, che
risclalda e porta a maturazione il cocktail di geni selezionati.
-
La perfezione…
-
Certo. L’energia che serve per l’incubatrice è
disponibile in quantità infinita. Ma le scorie, che farne! Non c’è luogo dove
buttarle su Eden, dove tutti sono amici e fratelli. Un mondo di uguali comporta
qualche problema, non si può dare la morte ai propri simili…
La lucciola annuì.
-
I saggi hanno trovato la soluzione: portare le scorie
lontano. Non ci sarebbero stati problemi etici, bastava scegliere pianeti
deserti…
La lucciola scrollò il capo.
-
Hai ragione, non ci sono più luoghi disabitati. I saggi
hanno allora scelto un pianeta abitato da esseri che con noncuranza avvelenano
altre terre. Dello stesso male periranno…
La lucciola sospirò…
-
Ma c’era sempre un nodo. Chi avrebbe accompagnato le
scorie su un altro mondo non avrebbe atteso la propria scadenza. E nessuno su Eden
aveva avuto mai una morte violenta. E come scegliere l’uomo predestinato a una
fine prematura? Si misero allora i saggi a cercare un segno di imperfezione. E
io…
-
Tu?
-
Io, Adelaide fui
scelta, perché difettosa.
La lucciola scrollò la testa contrariata. Non capiva. Non
sembrava difettosa Adelaide…
-
Su Eden non c’è storia di esseri difettosi, non ci sono
mai stati poveri, malati, stranieri, pazzi, idealisti, delinquenti. Ma la
necessità portò i tre saggi a trovare un piccolissimo difetto: la mia pelle è
bianca e trasparente, come vedi…
-
Bianca sì lo sei, bianchissima…
-
… mentre i miei
compagni sono splendidamente azzurrini. Questo colore èna mutazione di poca
importanza, ma in quel momento …tornò utile…Certo, la cosa mi fu spiegata per
bene, sin da bambina, come si confà ad un mondo così civile. Mi sarei sacrificata
per il mio popolo, il mio arrivo era atteso. Non dovevo pensare all’assenza di
colore come ad un male. Era un segno. L’eletta.
Adelaide tirò fuori dalla tasca della tuta una palla di cristallo
verde. Il cuore luminoso era un centimetro
cubo di beta4c.
-
Ma tu lucciola, da dove prendi l’energia? E che ne è
delle tue scorie? E la tua luce a che serve?
-
Non so da dove viene, non so niente di energia e scorie
ne faccio pochissime... La mia luce non serve a quasi a nulla, che io sappia. Fa
sognare uomini insonni e pensierosi, illumina gli sguardi degli innamorati
nelle notti d’estate, spruzza polvere argentata sui ricordi dei vecchi, quando parlano
di un tempo in cui noi lucciole eravamo in tante. Fa ridere i bambini quando mi
poso fra le loro mani, lasciandogli credere che sono stati loro a catturarmi. Sciocchi,
li frego sempre. Non serviamo a molto noi lucciole, vedi. Stiamo scomparendo, e
nessuno ci fa caso. Sono l’ultima io, Lizzi…
Adelaide guardò l’orologio.
-
Raccontami ancora..
-
Vuoi che ti parli delle cose brutte del mondo? Tra
pochi minuti tutto finisce, mettiamo da parte i pensieri tristi.
-
Ancora pochi minuti e lancerò la sfera là in quel
grande mare verde, vedi. Non deve essere un lancio preciso, basta che finisca
in acque profonde, così irradierà più lentamente. La vita finirà sulla terra e
anch’io finirò. E anche tu.
Però per il poco tempo che mi
resta voglio vedere qualche attimo delle vite imperfette e infelici su quel
pianeta.
-
Vedi quella luce, dove finisce il mare verde? – la
accontentò Lizzi.
-
Sì. Un’altra lucciola?
-
No, è un faro. Guida il ritorno a casa dei marinai.
-
Guiderà anche me, quando lacerò la sfera, tra pochi
istanti.
-
Lì vicino c’è il porto. C’è una locanda, in ogni porto
c’è una locanda, dove i marinai bevono e giocano a carte. Ora escono due uomini.
-
Gridano, si insultano, perché?
-
Litigano per una donna. Sono ubriachi.
-
Guarda, il più grosso spinge l’altro contro il muro. Tira
fuori un coltello!
-
Lo ucciderà!
-
Continua a parlare con la voce rotta, sembra voglia piangere.
-
Si ferma ora, che fa? Alza gli occhi.
-
Ci vede? Guarda noi?
-
Sttt…Senti? – riprende Lizzi.
-
Un miagolio, un pianto? Da dove viene?
-
E’ un bimbo.
-
Un bimbo? – Adelaide scrolla le spalle - non ci sono
bambini su Eden, non so riconoscerne il pianto.
-
Un bimbo piagnucola così quando la mamma lo culla e lui
non vuol dormire. Resiste, ha la testa dura, vuole vincerla lui. Vedi, la mamma gli sta cantando la ninna
nanna, e cullandolo si sta addormentando, vicino alla finestra, nella casa
vicino al porto. Ma ora alza gli occhi…
-
Guarda, Lizzy, la casa a fianco... Che fa quel vecchio
che respira a fatica?
-
Aspetta una dolce morte.
-
E la ragazza seduta vicino a lui?
-
Gli legge parole lievi, che allietino il passaggio.
-
Voglio sentire, forse mi saranno d’aiuto.
-
Ma si è zittita. Il vecchio guarda il cielo, e lei
segue il suo sguardo sereno e un po’ assente.
-
Lizzy, il marinaio… sta affondando il coltello…
-
Non guardare…
Lizzi sbattè le ali, e volò sulla spalla di Adelaide.
-
E’ ora. – Adelaide abbassò lo sguardo
-
E’ ora. – Lizzi abbassò lo sguardo.
-
Un attimo ancora… Voglio vedere nei cibetesti, in
questi pochi attimi che restano, se basta un sacrificio, un sacrificio
ingiusto, il mio, a fare di Eden un mondo imperfetto. Ingiusto.
-
Ormai non serve…
Adelaide si rigirò fra le mani la sfera verde, strasparente
e luminosa.
Non la lanciò, la lasciò scivolare attraverso il cielo ormai
calmo, in direzione dell’oceano verde, guardando il faro, la locanda, le finestre
illuminate vicino al porto. Il bambino era ancora sveglio, continuava con il
suo gorgoglio appagato, e guardava il cielo anche lui, allungano una manina
paffuta…eccola là la lucciola, com’era volata lontano….
La sfera fece sollevare pochi spruzzi e fu risucchiata dalle
acque profonde dell’oceano.
Così, in una notte di cielo sereno, la missione di Adelaide
era compiuta.
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