-
Manca lo scrivano! Dov’è? Cercatelo! – La voce del
sovrano tradisce irritazione.
-
Lo scrivano, lo scrivano, al solito…- piagnucola il
ministro a fianco. L’omino dal viso paffuto e dall’aria ingenua sembra un
bambino. Spunta appena la testa al di sopra dell’enorme tavolo di noce
intarsiato, nell’enorme salone tutto marmi, ori e specchi, nell’enorme sontuoso
castello.
-
Lo scrivano! Ma come mi capita a tiro, le assicuro
sire, avrà il fatto suo! Fare attendere ogni volta sua maestà… – esclama il ministro
della guerra, camminando avanti e indietro con passo marziale, in un gran
tintinnare di medaglie al valore di cui la divisa delle grandi occasioni è
cosparsa..
-
Lo scrivano, cercatelo… - ordina fermo e autorevole il
segretario. – mando subito il maggiordomo…
-
Lo scrivano, certo, ci penso io, maestà… esclama con
voce suadente il cerimoniere (la sua voce è sempre suadente, per incarico
ricevuto) mentre si affaccia al balcone. - Eccolo là, lo scrivano, in giardino,
riconosco il suo pastrano marrone.
-
E che fa nei giardini reali alle due del pomeriggio? –
si stupisce il ministro della guerra.
-
Annusa una rosa. Annusa una rosa e sorride. Parla da
solo. Ora gli faccio un cenno…
-
Ma questo scrivano dove l’abbiamo trovato? Sempre con
la testa fra le nuvole…Anzi, dove l’avete trovato… - sospira il re, mentre si
sistema i riccioli fulvi che spuntano da sotto la corona, aiutato dal
cerimoniere.
-
Sire, mostri la sua consueta magnificenza. E’ un bravo
scrivano, preparato e preciso, si accontenta di pochi sesterzi, è solo un po’
distratto…- dice allargando le braccia il cerimoniere.
-
Eccomi, sire - lo scrivano di corte, figura minuta che
scompare nell’enorme camice, entra ansimando nel salone, sudato e rosso in viso
- mi scusi, scusate tutti, ma è un così bel pomeriggio di primavera, e i fiori
dei giardini reali sono così belli e profumati... che io ho perso il senso del
tempo!
-
Due sesterzi in meno per il ritardo. – a parlare è il ministro
tesoriere, chiamato da tutti, a sua insaputa, il ministrino.
-
Ma ricevo solamente un sesterzo al giorno di paga!
-
Imparerà ad esser puntale.
Il segretario, irritato:
-
Allora, possiamo cominciare? Abbiamo importanti
questioni da sottoporre a sua maestà.
I ministri si guardano seri. Poi
il segretario si fa coraggio:
-
Sire, il popolo è scontento, si lamenta.
-
Come è possibile?
-
La povertà, sire…
-
Che cos’ha da dire il popolo in merito alla povertà?
-
Il popolo lamenta la mancanza di cibo, la difficoltà di
procurarsi abiti e un tetto.
-
Come osa? Ma il popolo… davvero è povero?
Il segretario abbassa gli occhi:
-
Sì sire.
-
Che lavori! Popolo di fannulloni!
-
Sire, il popolo è impegnato negli opifici, nelle
sartorie, nei campi, nell’esercito, negli allevamenti di struzzi.
-
Allora, che vuole?
-
Le paghe sono diminuite. I sudditi hanno fame.
-
Fame, fame….Si mangia troppo in questo regno, ciò non è
salutare. Guardate il mio ventre gonfio. - e, girandosi verso i propri vicini:
- Anche voi, ministri, non scherzate….
Lo scrivano alza dai suoi fogli
la testolina, un faccino gentile incorniciato da riccioli biondi, con un paio
di occhialini tondi sulla punta del naso:
-
I ministri e i loro servitori potrebbero mangiare un
po’ meno, e lasciare un po’ di cibo ai poveri.
-
Chi ha parlato? – I ministri si scambiano occhiate
terrorizzate.
-
Io – lo scrivano si fa piccolo piccolo.
-
Lei deve solo scrivere, non è tenuto a pensare né a parlare – intima il ministro della
guerra, che per l’irritazione è sul punto di far esplodere l’attillatissima
divisa.
-
Sciocco, maleducato, impertinente, ingrato! – se ne
esce stizzito il cerimoniere. – Cose mai sentite…
-
Scusate non volevo, ero sovrappensiero, mi è scappato .
-
Bene, – sospira il segretario - i ministri e i loro
servitori potrebbero sì contenere i loro già morigerati costumi, ma potrebbe
esserci più cibo tuttalpiù per qualche
povero. Ben pochi se ne gioverebbero, sarebbe un sacrificio vano. Non è quindi
il caso di reprimere gli appetiti di uomini di tanto valore. Sire, cercheremo
nuove idee.
-
Non potremmo istituire un apposito ministero? Ministero
della povertà!
-
Ma sire, ci sono già tante spese…un nuovo ministero? –
il segretario scrolla la testa perplesso.
-
Non capite nulla. Il ministro tesoriere si chiamerà
ministro della povertà, così il popolo saprà che ci interessiamo ai suoi
problemi, e ne gioirà.
-
Allora io sarò il ministro della povertà. – dice il
ministrino imbronciato e lamentoso. Non mi va, non mi piace essere il ministro
della povertà. E poi, cosa penseranno gli altri regnati, il re nero…non faremo
bella figura…
-
Per ora pensiamo a quietare il popolo. La prossima
settimana penseremo ai regnanti…
-
Poi, sire, cosà farò con questo nuovo incarico?
-
Nulla.
-
Nulla?
-
Nulla, come ora.
-
Sono ammirato per la sua astuzia e lungimiranza, sire, -
esclama estasiato il cerimoniere – e per la sua sensibilità nei contronti dei
bisogni del popolo!
-
Comunque, tornando alla povertà…- riprende il
segretario perplesso, grattandosi la testa…
-
Basta, non rattristatemi più con questa povertà. Poi
non dimenticate che ci sono i soldati che tornano con bottini di guerra…
-
Quelli che tornano…
-
A proposito, le guerre. Ministro della guerra, come
stiamo a guerre?
-
Abbiamo due guerre in corso.
-
Sì? Quali?
-
Nel paese degli orsi e sull’isola dei canguri.
-
E come vanno? Vinciamo?
-
No.
-
Come? Non mi dirà che veniamo sconfitti?
-
No.
-
Ma si sta prendendo gioco di me, ministro?
-
No sire. Non vinciamo e non perdiamo. Stiamo.
-
Non mi avevate detto nulla, ero all’oscuro di tutto ciò.
Il segretario sussurra qualcosa all’orecchio
del cerimoniere, a proposito della preoccupante smemoratezza del sovrano. E
riprende:
-
Non è importante che vinciamo sire, quel che conta è
che il popolo si appassioni alle guerre, dimentichi le sofferenze quotidiane,
la fame e le malattie. Le guerre sono indispensabili per il quieto vivere nel
regno.
-
Bene ministro. E abbiamo raggiunto lo scopo? Perché
allora il popolo si lamenta?
-
Il popolo si annoia. In queste guerre non succede mai nulla.
-
E fare una terza guerra? Ci sarebbe il re nero…
-
No sua maestà, lasci perdere, il re nero è troppo
potente.
-
Perché allora non organizzare dei giochi, con bestie
feroci e gladiatori,…come nell’antichità?
-
Giusto, il popolo si divertirebbe.
-
Ma la guerra al re nero poi la facciamo, vero? E così
arrogante…dicono anche sia più bello di me!
-
C’è tempo, sire. Magari la prossima settimana…- il
segretario sospira e procede: - Ora passiamo al problema più urgente…
-
Segretario, guardi: che sta facendo lo scrivano?
Lo scrivano non sta scrivendo, e
non ascolta, non si rende conto che tutti lo stanno guardando. Ha posato la
penna, e guarda fuori dalla finestra con aria sognante, il viso appoggiato ad
una mano.
-
Scrivano, sveglia! Guardi che la sua bella testolina
bionda…
-
Scusi sire! - E’ che alzando gli occhi mi sembrava di
aver visto un omino nero camminare sul
tetto di fronte…
-
Un uomo nero!
-
Tutti i ministri si alzano, preoccupati, e controllano:
- Non c’è nessuno, sire, stia tranquillo. Forse lo scrivano si è appisolato, stava
sognando.
-
Torniamo tutti a sedere e procediamo – il segretario
riprende le sue carte, mentre lo scrivano cerca la penna…
-
Dicevamo, il problema più urgente…i giovani.
-
Che vogliono i giovani?
-
Vogliono tante cose.
Vogliono la libertà, chissà chi gliene ha parlato. Vogliono studiare e lavorare, lavorare per poter avere
una casa e una famiglia.
-
Chiudete le finestre, si sente rumore, non riesco a
concentrarmi.
-
Sono appunto loro, i giovani. Protestano sul piazzale
antistante al castello.
-
In questo paese ci devono essere solo sudditi contenti.
A questi giovani …non possiamo tagliargli la testa?
-
Certo sovrano, ma così non nasceranno più bambini, destinati
a diventare soldati e servitori…. Rimanendo senza giovani oggi, non avremo più
servitù in avvenire…
-
E non ci saranno neanche più fanciulle per fare divertire
sua maestà? – l’espressione del re tradisce preoccupazione.
-
No, sire.
-
Il caso è grave. Invece ora i giovani possono fare
bambini, che diventeranno soldati, servitori…e fanciulle…?
-
No sire, perché non lavorando non hanno denaro a
sufficienza per sposarsi ed avere bambini.
-
Non potrebbero diventare soldati?
-
Ci sono già tanti soldati.
-
Ci sono le scuole, le biblioteche...
-
No sire, sono state chiuse.
-
Come, chi le ha chiuse?
-
Lei sire, tanto tempo fa. Costavano molto, e i libri
mettevano strane idee in testa al popolo.
-
Non ricordavo. Ma se l’ho deciso io è giusto così.
-
Allora, che ne facciamo di questi giovani? – chiede il
ministro della guerra, spazientito. – Le teste no…allora cominciamo a metterli
in prigione, poi la prossima settimana ci pensiamo.
-
Consideri, maestà, - riprende il segretario - che il
problema dei giovani tocca anche i
sudditi anziani, che teniamo in vita con elisir di lunga vita affinchè possano sfamare
figli e nipoti… ma sono stanchi, protestano.
-
Ma come? Anche loro?
-
La loro stanchezza è comprensibile, hanno tutti più di
cento anni, e lavorano per pochi sesterzi da almeno ottanta.
-
E che vogliono?
-
Reclamano il diritto di morire.
-
Non possiamo tagliargli la testa? Ai vecchi che
protestano, intendo?
-
No. Si parlava piuttosto di tenerli in vita il più a
lungo possibile, perché non manchi il pane per i giovani…
-
Allora non possiamo far preparare al mago una pozione
che li calmi?
-
Il mago vuol esser pagato…aspetta ancora il compenso
per l’elisir di lunga vita…
-
Quando avremo denari a sufficienza se ne parlerà –
interviene il ministrino.
-
A proposito di denari, sire…
-
Segretario, guardi un po’…Lo scrivano che fa?
-
Scrive…
-
Ma non sta scrivendo quel che diciamo…
-
Il segretario si avvicina piano piano, infilandosi gli
occhiali:
-
Scrivano!
-
Lo scrivano fa un gran balzo. Si assesta il pastrano
marrone, che a causa del salto sta scivolando via.
-
Sì, segretario.
-
Cosa sta scrivendo? Queste cosa sono? Cosa nasconde
sotto le maniche del pastrano?
-
Parole senza senso, mi scuso, mi ero distratto.
-
So ben io cosa sono queste! Poesie!
-
Poesie! – esclama il cerimoniere
-
Poesie? Che? - chiede il ministrino.
-
Poesie! – il tono del ministro della guerra è iroso.
-
Mi scuso. La primavera, i fiori… questa poesia…è venuta
da sola.
-
Si rimetta al lavoro. E ricordi che tanti sono disposti
a prendere il suo posto.
-
Ma come? Nessuno più sa leggere e scrivere.
-
Scrivano, taccia. Non perdiamo altro tempo. – Il
segretario riprende le sue carte: - Dunque, dove siamo rimasti… le tasse…
-
Le tasse? Ci sono già.
-
Certo, sire, ci sono. Ma dobbiamo mettere ordine. Ricorda?
Ogni settimana ne inventiamo tre e ne togliamo una.
-
Non potremmo semplicemente mettere due tasse la
settimana?
-
No, sire. Togliamo una tassa, così il popolo gioisce, ed
è questo che sta a cuore a sua maestà. Però le tasse servono, allora ne
mettiamo una al posto di quella abolita, e ne aggiungiamo altre, secondo la
bisogna.
-
Allora, questa settimana togliamo la tassa sui cani e
mettiamo quella sui gatti, più numerosi, e tassiamo il mare (l’aria no, meglio
di no, che spunta sempre qualche spiritoso che dice che si paga persino l’aria
che si respira), un sesterzo per ogni bagno di mare. Tassiamo magari di nuovo i
calessi? Ecco, la terza tassa sui calessi.
-
Sire…ma tutte queste monete d’oro, che vengono dalle
tasse e dalle guerre, – chiede lo scrivano – anziché ammucchiarle nei forzieri
non si potrebbero usare per dare lavoro al popolo? Per coltivare campi, per
allevare pecore, per aprire botteghe per fabbri, falegnami e sarti, e poi…
-
Per fabbricare altri colori?
-
No, botteghe per fare…
-
Armi?
-
No, ce ne sono già tante …per fabbricare che so, mobili
di legno, monili, giocattoli…
-
Sire, cosa fa, da retta allo scrivano? Torniamo a noi.
E’ tardi - …sbuffa il ministrino, ora ministro della povertà.
-
Ha ragione torniamo a noi: non si tagliano teste questa
settimana? Neanche una?
-
Direi di no, non serve. Poi. Con tutte le teste
tagliate la scorsa settimana abbiamo vuotato le prigioni…per un po’ siamo a
posto.
-
Ci staranno tutti i giovani che schiamazzano là fuori?
– e prosegue, rivolto al ministro della guerra: - Mi raccomando gli stracci. Per
i giovani ricordatevi di usare bastoni avvolti negli stracci, non si faccia
economia di stracci, per quanto poveri siamo gli stracci ancor non mancano, che
poi qualche suddito ingrato è subito pronto a esibire bozzi alle spie dei paesi
nemici.
-
E ora parliamo degli schiavi.
-
Ma non c’è più tempo, è quasi l’ora del tè, le
fanciulle mi aspettano.
-
Sire, pochi minuti…
-
Su, che c’è da dire sugli schiavi…
-
Avremmo bisogno di farne arrivare altri, perché a forza
di tagliare teste, sono rimasti in pochi a lavorare…
-
Andiamo a prenderli
-
No, costa. Tanto arrivano da soli, dall’africa.
-
Allora che problema c’è?
-
Arrivano a nuoto o con barche di fortuna. Molti sono
dispersi in mare…
-
Bene, così si salvano solo i più forti. Aspettiamo
pazientemente che ne arrivino altri. Ministro mi dica, mica vogliono essere
pagati?
-
Sono uomini di sobri costumi, abituati a mangiare poco.
-
Ma non è tutto qui. – interviene il cerimoniere: - La
vista di barche che affondano e di uomini che annaspano fra le onde rovina il
paesaggio, il nostro è bel paese…il pittore ritrae un mare triste…
-
Il pittore…tagliamogli la testa.
-
Rimane per ultimo da parlare dell’albero della speranza.
-
Cos’è successo all’albero della speranza, sentiamo.
-
Una magia.
-
No… è seccato?
-
Incendiato?
-
No…tagliato dai poveri, per scaldarsi?
-
Non possiamo fare a meno dell’albero: ogni mattino il
popolo controlla che sia sempre rigoglioso, in buona salute.
-
No, no, è una magia buona. Sire e ministri, tranquillizzatevi.
L’albero è diventato tutto rosa….
-
Rosa?
-
Sì, il tronco e le foglie…
-
Però, bello un albero rosa…. Colore adatto alla
speranza, non trovate?
-
Di un bel rosa confetto…così bello che un bambino si è
arrampicato su in alto in alto, e non è più tornato, e … scusi sire, questa è un’altra storia.
Dicevamo, l’albero è diventato di un bel rosa. Solo che…
-
Solo che?
-
Solo che gli abitanti del villaggio hanno visto che
anche gli altri alberi diventavano rosa, e anche le verdure, e le galline, i
cavalli, i gatti, i calessi e infine anche le case, e anche…
-
Tutto rosa? Che strana inutile magia!
-
Si è scoperto che è tutta colpa della bottega che
fabbrica colori per le sete, le lane e i capelli, e le polverine cangianti per
gli occhi delle fanciulle… insomma, sono esplosi degli alambicchi, e fumi rosa si
sono sparsi ovunque…il popolo tossisce.
-
La mia maestà non può mai stare tranquilla…
-
Sire, non si dispiaccia…pochi sono morti, pochissimi, giusto cinque o sei. E sono morti con un bel
colorito roseo. Però…
-
Un altro però…Che altro c’è?
-
Bisognerebbe fare qualcosa con mastro Arcobaleno…, è un
pasticcione. Lava le tinozze in cui mescola il colore nel ruscello. Le acque
sono viola.
-
Belle le acque viola…Cielo rosa e acque viola…
-
Sire, le lavandaie lavano i panni al ruscello…il regno
è invaso da lenzuola viola che svolazzano al sole….
-
C’è il rischio che mi debba presentare alle fanciulle
con una vestaglia viola, e magari anche…Ministrino, perché ridacchia
nascondendosi con la mano? Bene, che intervenga il mago.
-
Sire, Le ricordo nuovamente che da tempo non viene
pagato – dice il ministrino ricomponendosi.
-
Lo pagherà il popolo.
-
Il popolo è sempre povero.
-
Allora convochiamo lo scienziato.
-
Lo scienziato? non c’è più.
-
Come? Gli abbiamo tagliato la testa?
-
No. Dato che non lo pagavamo, se n’è andato
oltreoceano…
-
No…dal re nero? Sempre lui, porta via i miei uomini
migliori…
-
Allora allora...facciamo ridipingere l’aria e l’acqua
di azzurro, che ci vuole…
-
Che idea geniale…facciamo ritingere tutto al pittore.
-
Ma non dovevamo fargli tagliare la testa?
-
La prossima settimana… non c’è fretta.
-
I prati e gli alberi torneranno verdi, le pecore
bianche…i fiori lasciamoli rosa. Che bel paese!
-
Che bel paese! - esclama il ministro della guerra.
-
Che bel paese! - esclama il ministrino.
-
Che bel paese! - esclama il segretario.
-
Che bel paese! - esclama il cerimoniere, aggiungendo
con sussiego: - Tutto merito di sua maestà!
-
Basta complimenti. Sapete che sono un uomo modesto. – si
ritrae il sovrano, tormentandosi un tirabaci fulvo, scomposto ma non ribelle, che
spunta da sotto la corona. - Che ora è,
cerimoniere?
-
Sono le cinque.
-
Finalmente, il mio tè con le fanciulle! Cerimoniere, mi
accompagni!
Il fido collaboratore prende sottobraccio
il sovrano, avviandovi con lui verso l’uscita.:
-
Un po’ di meritato riposo per sua maestà! – e,
abbassando la voce – Ora che lo scrivano non ci sente, vorrei suggerire la sua
sostituzione. Tutti questi interventi inopportuni! E quante distrazioni! Ci
sarebbe giusto uno stalliere, appartenente a una famiglia fedele alla casa
reale da generazioni, che sa leggere e scrivere: ha imparato all’estero,
nell’esercito…
-
I pasticcini con la crema! Oggi è il giorno dei
pasticcini con la crema! – esclama con voce gioiosa il ministrino saltando giù
dal suo scranno. – Come li fa il pasticcere di corte sono speciali…
-
Quasi quasi mi gusto anch’io due pasticcini, prima
di andare dal generale a controllare che
gli stracci siano bene avvolti…- Il ministro della guerra riflette indeciso,
poi segue il collega – Ho un certo languorino…
-
Andrò a scegliere i colori del belpaese…ma non c’è
fretta. C’è tempo per un pasticcino… - il segretario esce per ultimo, seguendo
i colleghi.
Qualcuno resta: lo scrivano.
-
Uffa, trascriviamo, guerre, tasse, poveri…e teste
tagliate. Ci fosse qualche storia bella ogni tanto…una carina però c’era, quella dell’albero della
speranza. Tante guerre, tasse e teste tagliate, ma anche tanta speranza –
Finito il lavoro di copiatura, comincia a raccogliere le carte, la penna e il
calamaio. Sta per alzarsi, quando sente un tonfo, un rumore sordo…E una nuvola
nera invade il salone tutto marmi, ori e specchi. Tossisce, pensando a mastro
Arcobaleno. Quando la polvere nera si
deposita a terra, vede un giovane di bell’aspetto seduto nel caminetto. Questi
si alza e si inchina, sorridendo.
-
Non so come scusarmi, sono scivolato giù nel camino.
Stavo guardando il parco, i boschi, e poi il mare laggiù…Si vede lontanto da
sopra i tetti!
-
Oh, il principe nero…esiste davvero!
-
Ma no, che principe nero! Sono lo spazzacamino!
-
Avete combinato un bel pasticcio. Se arriva il
segretario, la vostra testa… guardate quanta polvere…- si toglie intanto il
pastrano per sbatterlo. Sotto il camicione informe ha un grazioso abitino a
fiori. Perché lo scrivano è una dolce fanciulla, cosa di cui i ministri e il re non si sono mai accorti.
Essendo ossuta, pallida e poco propensa al riso non è stata accettata fra le
belle giovani che intrattengono il sovrano all’ora del tè. Così ha studiato, quando ancora c’erano le scuole,
per diventare scrivano del re.
-
Ma voi sì, siete una principessina, così carina…
-
Non me l’ha detto mai nessuno. Se volete, sarò una
principessa. E voi un principe. Che fiaba è questa, altrimenti, senza principi
e principesse! – e fra sé e sé pensa che il principe-spazzacamino non è molto
sveglio.
-
E state in questo castello?
-
Certo, sono lo scrivano. Scrivo tutto ciò che dicono il
re e i ministri. Scrivo editti e proclami, e li leggo al popolo…
-
E’ un così bel posto questo, come vi invidio!
-
No no, non invidiatemi, scrivo sempre cose tristi.
Preferirei venire con voi sui tetti, e vedere il mondo.
-
Bene, andiamo.
Escono dal castello – nessuno riconosce lo scrivano,
senza il pastrano marrone. Vanno in giro per il mondo. Lui spazza i camini e
lei scrive poesie e fiabe, in cui non ci sono guerre, né tasse, né teste
mozzate. Le legge nelle feste di strada, fra musici e giocolieri, maghi e teatranti.
Ma…si
innamorano il principe e la principessa?
Forse…ma
questa è un’altra storia.
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