E’ stato un gran bel funerale.
Si dice sempre, come per dire che
è stata una gran bella festa. E’ un paradosso, fa un po’ ridere. Ma questo di oggi
è stato davvero un gran bel funerale. Ora spiego: c’era tanta gente, non solo,
era bella gente: c’erano un sacco di
colleghi - gli uffici della banca devono essere rimasti chiusi per l’occasione,
come nelle feste nazionali -, poi cerano i pochi parenti;
i vicini di casa e gli amici - non numerosi ma partecipati e affranti -;
non potevano mancare “gli amici dei cani”, cioè i frequentatori del parco, padroni
dei cani amici di Luna; alcuni si erano
presentati con i loro amici a quattro zampe, che avevano per brevi momenti
manifestato la loro vicinanza al defunto - dimostrando una sensibilità anche
superiore agli umani - abbaiando con toni sommessi e uggiolando. Le inconsuete manifestazioni
di affetto sono state tollerate e anzi
apprezzate dai padroni. E anche dal defunto, cioè dalla defunta, cioè da me..
Sì, sto parlando del mio
funerale.
Dicevo gran
bella festa perché finalmente ero al centro dell’attenzione, solo io, per
un’ora. In una chiesa gremita. A saperlo morivo prima…e quanti apprezzamenti…Gli
amici si prodigavano nei complimenti di rito,
i colleghi elogiavano la mia efficienza; non vi dico com’era affranto il
direttore, che non sapeva come colmare il buco del conto economico dopo la mia
prematura dipartita (prematura non per via dell’età - avevo ben 48 anni al momento del trapasso – ma rispetto
alla chiusura dell’esercizio); la mia vicina di scrivania, stanca dei miei
pettegolezzi e delle mia vanteria, si è sorpresa a pensare che finalmente ci
sarebbe stato un po’ di quiete, e pentita aveva subito recitato cinque ave
maria; per darsi un tono tormentava con le mani un inutile fazzoletto,
perfettamente asciutto.
Vi chiederete:
gli uomini del passato si sono visti alla cerimonia?
L’ex marito sì, dietro insistenze
dalla figlia, l’ultimo fidanzato no….e questo pensiero mi disturba ancor oggi molto…perché
da tempo avevo dato disposizione alla ragazza perché lo cacciasse platealmente dalla
chiesa a calci nel sedere…e questo non si è presentato…ma i manifesti funebrui
li hanno messi in tutta la città o no? Sarà che non facevo parte della buona
società…
Ora tutto è finito, se ne sono
andati tutti, la chiesa si è svuotata. Anche Luna se ne è andata, seguendo da
vicino la bara.
Ma forse c’è
ancora qualcuno là in fondo, in penombra.
Quel tipo con la giacca senza
cravatta, che sembra così triste, chi è? Ha un fiore tra le mani. Una rosa
bianca. E’ per me? E che fa ora? Piange? Per me?
Comunque
bisognerebbe raccontare la storia con un certo ordine.
Certo, perché prima del funerale
c’è stato un morto. E prima c’è stata una storia…
Allora torniamo indietro. La mia
morte è cosa di tre giorni fa’. E si è trattato di una vicenda tragica e
inquiteante.
Tutto iniziò,
assai banalmente, con un mutuo.
Io mi vantavo all’epoca dei fatti
di essere una grande venditrice, nel mio settore, se non la migliore in
assoluto. Vendevo mutui, in una piccola banca. Non accettavo l’insuccesso: i
mutui erano tutti miei. E non era per diligenza, per fedeltà all’azienda o per
interesse, era una questione di principio: ero la migliore e basta.
Erano tempi
duri, tra un terremoto, una guerra e una crisi politica internazionale la
depressione dilagava, e non si compravano più case. E non si facevano più
mutui. Ma inaspettatamente una buona operazione si prospettò circa un mese fa’.
Il candidato mutuatario era persona assai poco cordiale e simpatica, ma
magnanimamente lo degnai di qualche sorriso, e lo inondai di illuminanti
spiegazioni su euribor, spread, cap, inflazione, e su tutte le disgrazie
mondiali presenti e future con cui strumentalmente infarcivo qualsiasi tipo di
operazione finanziaria, calamità che rendevano indispensabile quel particolare
tipo di mutuo che avevamo solo noi sulla piazza. Il tipo non si fece più vivo
per qualche settimana; arrivò invece un assegno, congrua caparra per la casa.
Lo contattai allora con l’astuta scusa di un aggiornamento sulle condizioni di
mercato, il cliente si presentò con un prospetto recante le condizioni della berry’s,
che con voluta nonchalance mi fece scivolare dinnanzi. Come vidi il logo blu mi
andò il sangue alla testa. Sicuramente arrossii. - Bianchi, di nuovo tu! Ma non ce la farai
neppure questa volta.
-
Bene, si è fatto fare un altro preventivo, è sempre
opportuno un confronto…- sorriso, con
tutta l’ipocrisia del caso.
-
Sì, vede qui, il due per cento – e un sorriso perfido
accompagnava la risposta
-
due per cento? Bene, ma questo non è un preventivo, il
piano di ammortamento dov’è? Poi, tutto scritto a mano…Non è conforme al codice
europeo…
-
Sì ha ragione, è un prospetto alla buona, ma è un due
per cento, e la rata è di 620 euro, la vostra è di 680.
-
Guardi, senza piano di ammortamento non posso fare
confronti, come posso fare ipotesi su come si ammortizza il capitale nel
tempo…- in realtà sapevo bene che il due per cento era un due per cento, non c’erano
scuse..
-
A me interessa la rata …
Con esibizioni da acrobata ho cercato
di confrontare la rata dell’ammortamento cervellotico inventato da qualche
psicopatico raccomandato dell’ufficio studi della mia banca con un ammortamento
francese, nella sua illuminata linearità.
-
La rata è più bassa…
E io vedevo chiaramente che
questo si compiaceva del mio insuccesso e del mio imbarazzo: mi chiamò più
volte dottoressa Rossi, ponendo l’accento su “dottoressa” con compiacenza.
Geometra diplomato con 36 in una oscura scuola privata. E poi si è appena
separato, è lei che l’ha mollato, così lui ce l’ha con tutte le donne.
-
Ma non potete proprio fare queste condizioni?
-
Non possiamo – e lui gongola.
-
Dovrò poi estinguere il conto.
-
Le farà firmare lo stampato il ragioniere della berry’s.
- sì, credi che ti preghi di restare… - arrivederci, anzi no, mi sa che non ci
rivedremo…
-
Ma lei lo conosce il ragionier Bianchi?
-
No, non conosco impiegati della berry’s. Perché dovrei?
Invece lo
conoscevo, lo conoscevo bene il ragionier Bianchi.
Da quando avevano montato le
insegne azzurre, che orribilmente deturpavano la facciata di un palazzo antico
sul viale, a poche centinaia di metri dal mio ufficio, osservavo l’interno,
cercando di non dare nell’occhio, mentre portavo Luna a fare il giretto del
mattino. E le avevo dato l’abitudine di fare pipì proprio davanti all’ingresso.
Bianchi l’avevo visto qualche volta dalla vetrina, e per lungo tempo mi sono
compiaciuta del fatto che gli uffici fossero deserti. Finchè qualcosa cambiò:
forse convenzioni con le agenzie, promozioni, pubblicità. Cominciai a fare sempre meno vendite, e dopo un po’ di
tempo capii…Altro che tzunami e gheddafi, era Bianchi che si portava via i miei
mutui.
Dopo l’ultimo
insuccesso scopo della mia vita divenne la lotta aperta a Bianchi. Avrei
combattuto con ogni mezzo quel losco figuro, e la sua indebita invasione del
mio territorio. Ne andava della mia dignità di venditrice. Perché un venditore
è tale nell’animo, e non può veder leso un tratto essenziale della propria identità. Ne va
dell’integrità del suo io…
Al mattino
seguivo gli spostamenti del mio uomo, portando fuori luna. I primi giorni
l’avevo visto in giacca e cravatta, poi aveva cominciato vestirsi sportivo. Non
era uno di quei tipi infighettati, finto abbronzati…era uno normale, persin
simpatico. E questo mi dava assai
fastidio. Avrei preferito odiare uno dall’aria rampante e in carriera, uno di
questi insopportabili giovani arroganti, vanesi e ambiziosi, quanti ne avevo
visti nel mio ambiente…No, glielo leggevo in faccia, con 25 anni di banca avevo acquisito un po’ di intuito: era uno giusto,
uno regolare, magari corretto e gentile Pur essendo inverno arrivava in bicicletta,
col berretto in testa e la sciarpa tirata su fin sul naso. Lo incontravo a
volte all’edicola, prendeva il
ventiquattrore e il quotidiano – lo stesso che prendevo io - ; a volte lo
incrociavo mentre usciva dalla
panetteria con la focaccia. Mi dovevo impegnare ad odiare uno che veniva a
lavorare in bici e non in suv, che leggeva il mio stesso quotidiano e comprava
la focaccia al mattino. Chissà, magari aveva anche lui un cane. Ma in guerra
non c’è spazio per romanticismi. Dato
che ci vedevamo ormai tutte le mattine, lui, incontrando il mio sguardo,
accennava ad un sorriso e ad un saluto, ma io prontamente distoglievo lo
sguardo, decisa a non cedere…Non avrei mai degnato di un sorriso o di un saluto
un impiegato della berry’s, mai.
Trascorsero
alcuni mesi in cui i clienti venivano a chiedere informazioni sui mutui e poi
prontamente sparivano. Io continuavo al mattino a portar fuori luna e a
osservare il nemico, finchè un giorno me lo trovai proprio a fianco, bicicletta
alla mano, all’attraversamento pedonale davanti ala panetteria; la vetrina blu
della berry’s era proprio lì di fronte, dall’altra parte del corso. Il quattro
stava arrivando a tutta birra dalla rotonda – nessun mezzo rallenta alle
rotonde del corso, neanche i bus. In quel momento un fulmine mi attraversò la
mente. Diedi uno sguardo furtivo al marciapiede deserto. Una spinta, una
piccola impercettibile spinta, nascosta dalla mantella in cui ero avvolta e dal
grigiore del mattino invernale. Solo che non era destino…lui stava per perdere
l’equilibrio quando… luna vide uscire da sotto un’auto un gatto, non un gatto
nero, il solito gatto rosso che stazionava lì tutte le mattine. Dato che Luna
era attenta alla difesa del territorio quasi quanto me, e odiava i gatti – quel
gatto in particolare - quasi quanto io odiavo Bianchi, fece un balzo per
raggiungerlo, dandomi così uno strattone
violento con il guinzaglio. Mi colse di sorpresa, perché ero concentrata
sul tizio che mi trovavo a fianco, e
sbilanciata in avanti nelle spintarella…Per farla breve, l’equilibrio lo persi
io. E in quel preciso istante passò il quattro.
Nessun commento:
Posta un commento