venerdì 16 marzo 2012

Il funerale



E’ stato un gran bel funerale.
Si dice sempre, come per dire che è stata una gran bella festa. E’ un paradosso, fa un po’ ridere. Ma questo di oggi è stato davvero un gran bel funerale. Ora spiego: c’era tanta gente, non solo, era bella gente: cerano un sacco di colleghi - gli uffici della banca devono essere rimasti chiusi per l’occasione, come nelle feste nazionali -, poi cerano i  pochi parenti;  i vicini di casa e gli amici - non numerosi ma partecipati e affranti -; non potevano mancare “gli amici dei cani”, cioè i frequentatori del parco, padroni dei cani amici di Luna; alcuni  si erano presentati con i loro amici a quattro zampe, che avevano per brevi momenti manifestato la loro vicinanza al defunto - dimostrando una sensibilità anche superiore agli umani - abbaiando con toni sommessi e uggiolando. Le inconsuete manifestazioni di affetto sono state tollerate e  anzi apprezzate dai padroni. E anche dal defunto, cioè dalla defunta, cioè da me..  
Sì, sto parlando del mio funerale.
Dicevo gran bella festa perché finalmente ero al centro dell’attenzione, solo io, per un’ora. In una chiesa gremita. A saperlo morivo prima…e quanti apprezzamenti…Gli amici si prodigavano nei complimenti di rito,  i colleghi elogiavano la mia efficienza; non vi dico com’era affranto il direttore, che non sapeva come colmare il buco del conto economico dopo la mia prematura dipartita (prematura non per via dell’età - avevo  ben 48 anni al momento del trapasso – ma rispetto alla chiusura dell’esercizio); la mia vicina di scrivania, stanca dei miei pettegolezzi e delle mia vanteria, si è sorpresa a pensare che finalmente ci sarebbe stato un po’ di quiete, e pentita aveva subito recitato cinque ave maria; per darsi un tono tormentava con le mani un inutile fazzoletto, perfettamente asciutto.
Vi chiederete: gli uomini del passato si sono visti alla cerimonia?
L’ex marito sì, dietro insistenze dalla figlia, l’ultimo fidanzato no….e questo pensiero mi disturba ancor oggi molto…perché da tempo avevo dato disposizione alla ragazza perché lo cacciasse platealmente dalla chiesa a calci nel sedere…e questo non si è presentato…ma i manifesti funebrui li hanno messi in tutta la città o no? Sarà che non facevo parte della buona società…
Ora tutto è finito, se ne sono andati tutti, la chiesa si è svuotata. Anche Luna se ne è andata, seguendo da vicino la bara.
Ma forse c’è ancora qualcuno là in fondo, in penombra.
Quel tipo con la giacca senza cravatta, che sembra così triste, chi è? Ha un fiore tra le mani. Una rosa bianca. E’ per me? E che fa ora? Piange? Per me?

Comunque bisognerebbe raccontare la storia con un certo ordine.
Certo, perché prima del funerale c’è stato un morto. E prima c’è stata una storia…
Allora torniamo indietro. La mia morte è cosa di tre giorni fa’. E si è trattato di una vicenda tragica e inquiteante.

Tutto iniziò, assai banalmente, con un mutuo.
Io mi vantavo all’epoca dei fatti di essere una grande venditrice, nel mio settore, se non la migliore in assoluto. Vendevo mutui, in una piccola banca. Non accettavo l’insuccesso: i mutui erano tutti miei. E non era per diligenza, per fedeltà all’azienda o per interesse, era una questione di principio: ero la migliore e basta. 
Erano tempi duri, tra un terremoto, una guerra e una crisi politica internazionale la depressione dilagava, e non si compravano più case. E non si facevano più mutui. Ma inaspettatamente una buona operazione si prospettò circa un mese fa’. Il candidato mutuatario era persona assai poco cordiale e simpatica, ma magnanimamente lo degnai di qualche sorriso, e lo inondai di illuminanti spiegazioni su euribor, spread, cap, inflazione, e su tutte le disgrazie mondiali presenti e future con cui strumentalmente infarcivo qualsiasi tipo di operazione finanziaria, calamità che rendevano indispensabile quel particolare tipo di mutuo che avevamo solo noi sulla piazza. Il tipo non si fece più vivo per qualche settimana; arrivò invece un assegno, congrua caparra per la casa. Lo contattai allora con l’astuta scusa di un aggiornamento sulle condizioni di mercato, il cliente si presentò con un prospetto recante le condizioni della berry’s, che con voluta nonchalance mi fece scivolare dinnanzi. Come vidi il logo blu mi andò il sangue alla testa. Sicuramente arrossii. -  Bianchi, di nuovo tu! Ma non ce la farai neppure questa volta.
-          Bene, si è fatto fare un altro preventivo, è sempre opportuno un confronto…- sorriso,  con tutta l’ipocrisia del caso.
-          Sì, vede qui, il due per cento – e un sorriso perfido accompagnava la risposta
-          due per cento? Bene, ma questo non è un preventivo, il piano di ammortamento dov’è? Poi, tutto scritto a mano…Non è conforme al codice europeo…
-          Sì ha ragione, è un prospetto alla buona, ma è un due per cento, e la rata è di 620 euro, la vostra è di 680.
-          Guardi, senza piano di ammortamento non posso fare confronti, come posso fare ipotesi su come si ammortizza il capitale nel tempo…- in realtà sapevo bene che il due per cento era un due per cento, non c’erano scuse..
-          A me interessa la rata …
Con esibizioni da acrobata ho cercato di confrontare la rata dell’ammortamento cervellotico inventato da qualche psicopatico raccomandato dell’ufficio studi della mia banca con un ammortamento francese, nella sua illuminata linearità.
-          La rata è più bassa…
E io vedevo chiaramente che questo si compiaceva del mio insuccesso e del mio imbarazzo: mi chiamò più volte dottoressa Rossi, ponendo l’accento su “dottoressa” con compiacenza. Geometra diplomato con 36 in una oscura scuola privata. E poi si è appena separato, è lei che l’ha mollato, così lui ce l’ha con tutte le donne.  
-          Ma non potete proprio fare queste condizioni?
-          Non possiamo – e lui gongola.
-          Dovrò poi estinguere il conto.
-          Le farà firmare lo stampato il ragioniere della berry’s. - sì, credi che ti preghi di restare… - arrivederci, anzi no, mi sa che non ci rivedremo…
-          Ma lei lo conosce il ragionier Bianchi?
-          No, non conosco impiegati della berry’s. Perché dovrei?
Invece lo conoscevo, lo conoscevo bene il ragionier Bianchi.
Da quando avevano montato le insegne azzurre, che orribilmente deturpavano la facciata di un palazzo antico sul viale, a poche centinaia di metri dal mio ufficio, osservavo l’interno, cercando di non dare nell’occhio, mentre portavo Luna a fare il giretto del mattino. E le avevo dato l’abitudine di fare pipì proprio davanti all’ingresso. Bianchi l’avevo visto qualche volta dalla vetrina, e per lungo tempo mi sono compiaciuta del fatto che gli uffici fossero deserti. Finchè qualcosa cambiò: forse convenzioni con le agenzie, promozioni, pubblicità. Cominciai a  fare sempre meno vendite, e dopo un po’ di tempo capii…Altro che tzunami e gheddafi, era Bianchi che si portava via i miei mutui.
Dopo l’ultimo insuccesso scopo della mia vita divenne la lotta aperta a Bianchi. Avrei combattuto con ogni mezzo quel losco figuro, e la sua indebita invasione del mio territorio. Ne andava della mia dignità di venditrice. Perché un venditore è tale nell’animo, e non può veder leso un tratto  essenziale della propria identità. Ne va dell’integrità del suo io…
Al mattino seguivo gli spostamenti del mio uomo, portando fuori luna. I primi giorni l’avevo visto in giacca e cravatta, poi aveva cominciato vestirsi sportivo. Non era uno di quei tipi infighettati, finto abbronzati…era uno normale, persin simpatico. E questo mi dava  assai fastidio. Avrei preferito odiare uno dall’aria rampante e in carriera, uno di questi insopportabili giovani arroganti, vanesi e ambiziosi, quanti ne avevo visti nel mio ambiente…No, glielo leggevo in faccia, con 25 anni di banca avevo  acquisito un po’ di intuito: era uno giusto, uno regolare, magari corretto e gentile   Pur essendo inverno arrivava in bicicletta, col berretto in testa e la sciarpa tirata su fin sul naso. Lo incontravo a volte all’edicola,  prendeva il ventiquattrore e il quotidiano – lo stesso che prendevo io - ; a volte lo incrociavo mentre  usciva dalla panetteria con la focaccia. Mi dovevo impegnare ad odiare uno che veniva a lavorare in bici e non in suv, che leggeva il mio stesso quotidiano e comprava la focaccia al mattino. Chissà, magari aveva anche lui un cane. Ma in guerra non c’è spazio per romanticismi.  Dato che ci vedevamo ormai tutte le mattine, lui, incontrando il mio sguardo, accennava ad un sorriso e ad un saluto, ma io prontamente distoglievo lo sguardo, decisa a non cedere…Non avrei mai degnato di un sorriso o di un saluto un impiegato della berry’s, mai.
Trascorsero alcuni mesi in cui i clienti venivano a chiedere informazioni sui mutui e poi prontamente sparivano. Io continuavo al mattino a portar fuori luna e a osservare il nemico, finchè un giorno me lo trovai proprio a fianco, bicicletta alla mano, all’attraversamento pedonale davanti ala panetteria; la vetrina blu della berry’s era proprio lì di fronte, dall’altra parte del corso. Il quattro stava arrivando a tutta birra dalla rotonda – nessun mezzo rallenta alle rotonde del corso, neanche i bus. In quel momento un fulmine mi attraversò la mente. Diedi uno sguardo furtivo al marciapiede deserto. Una spinta, una piccola impercettibile spinta, nascosta dalla mantella in cui ero avvolta e dal grigiore del mattino invernale. Solo che non era destino…lui stava per perdere l’equilibrio quando… luna vide uscire da sotto un’auto un gatto, non un gatto nero, il solito gatto rosso che stazionava lì tutte le mattine. Dato che Luna era attenta alla difesa del territorio quasi quanto me, e odiava i gatti – quel gatto in particolare - quasi quanto io odiavo Bianchi, fece un balzo per raggiungerlo, dandomi così  uno strattone violento con il guinzaglio. Mi colse di sorpresa, perché ero concentrata sul  tizio che mi trovavo a fianco, e sbilanciata in avanti nelle spintarella…Per farla breve, l’equilibrio lo persi io. E in quel preciso istante passò il quattro.


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