venerdì 16 marzo 2012

La stanza


Quanto disordine.
Dico sempre che dovrei ordinarla.
Ogni sabato apro la porta e richiudo, spaventata da tanta confusione.
Ogni volta dico: ci vorranno giorni, non ho tempo, e rimando.
Oggi mi faccio coraggio.
No, non avevo paura del tanto lavoro.
Mi disorienta e mi emoziona maneggiare cose della tua vita,
della tua quotidianità di qualche anno fa.
Quando eri qui.
Passo lo strofinaccio sui ripiani,
e ogni cosa che prendo in mano per ravvivare dalla polvere vecchia è un ricordo.
Il prurito che sento alle mani non è l’allergia, lo so bene.
I pupazzi di quando eri bambina sono malmessi…
Sarebbero da lavare, ma magari si rovinano.
Il leone Felice!
Mi fa ridere ancora oggi, “Felice di avere un padrone” è il nome completo.
Ecco il gattino Bimbodellamamma.
Il pipistrello nero da paura, con gli occhi rosso fuoco, con la suoneria che urla ancora funzionanate,
l’orsa abbracciata al suo piccolo. 
Gigi!
Gigi, il primo bambolotto,
col viso di gomma, senza capelli, il corpo di tela azzurra imbottita.
l’ho scelto perché morbido, tondo, piccolo,
giusto per una bimba di un anno.
L’ho chiamato Gigi perché ci voleva un nome facile…
Acquistato per poche migliaia di lire alla standa
quando c’erano le lire e la standa
Ricordo i compleanni,
e i negozi in cui li ho comprati, i giochi.

Passo a sistemare i libri del liceo, cerco gli appunti con la tua calligrafia.
Ci sarà ancora un tema, con quelle frasi come sms?
Da bambina mi sembrava avessi pensieri così profondi.
E originali, per una bambina.
Ma non ti piaceva scrivere.
Ti piaceva la matematica.
Eri convinta di scrivere bene, questo mi faceva ridere. Guai a riprenderti…
Ma dovevo capire della matematica.
Quella volta che al mare mi hai detto pensierosa
Perché dici che lo yogurt è buono
e la zia dice che fa schifo?
Mi eri sembrata un genio.
La differenza tra valore relativo e assaluto…
Dovevo capire della tua predisposizione per la matematica,
ma forse quella frase non voleva proprio dire nulla.

Libri intonsi.
Quanti ne ho comprati.
I più vecchi te li ho letti io. Letti e riletti.
La cartellina con i disegni,
ecco dov’erano i testi delle fiabe scritte insieme:
Alice siede sotto un albero e ripassa la lezione,
ma non ha una gran voglia,
aspetta il coniglio bianco,
e invece arrivano i sette capretti…
Miscuglio di favole, un gioco.

I giornalini del liceo. Con le vignette le foto e gli scherzi.
I libri di harry potter e quelli sui folletti.
Leggevi poco.

Le foto.
La foto della zia che ti ha tenuto da piccola
e cui hai voluto molto bene,
la foto di Iris, la tua cagnolina,
la mamma e il papà in costume al mare.
Ti piaceva questa foto perché io e il papà eravamo giovani e belli, così dicevi - il mito della bellezza… - o forse perché eravamo insieme e felici.
E la foto di un compagno di scuola, che è in tante altre stanze..

Quanti scontrini …li faccio passare pensando contengano qualche segreto della tua vita… quali acquisti facevi…cosmetici, spesa di alimentari, abiti…cose ordinarie, sono un po’ delusa…
Certo non buttavi via nulla. Biglietti del treno, etichette di vestiti.
Non credo sia solo disordine.
Tirchia? Forse sei tichia, e io no lo sapevo… non l’avrei mai immaginato.
Quante altre cose non so di te?
Non ho avuto abbastanza tempo.
E poi forse ero distratta.
 
Ecco, questo libro, Alice in inglese, non è tuo, era destinato a me, un natale.
Di nuovo Alice.
Pensavo avesse un significato, perché mi vedevi così, come una stralunata e spersa…
Rorse mi piace pensare che mi vedevi così - sciocchezze da psicanalisti –
E dov’è la salamandra di tutti i colori che mi hai preso a Barcellona?
Sono io l’animale che cambia sempre e imprevedibilmente colore?
- Imprevedibile, scostante, ora ridi e ora ti arrabbi -…questo mi dicevi.
E avevi ragione.

Ho trovato la lettera.
La mia lettera.
Sapevo che era ancora lì tra le tue cose.
E’ appoggiata sulla mensola tra fogli messi lì alla rinfusa.
L’ultima volta che sono stata qui era nella scatola dei tuoi ricordi,
una scatola da scarpe contenente foto, cd,  lettere di amori…
se ora è in una altro posto, vuol dire che l’hai riletta.
E’ la lettera che ti ho scritto quando avevi sedici anni e volevi dormire fuori casa,
e né  io né tuo padre riuscivamo ad farci ubbidire.
Le tue istanze di libertà ci sembravano premature, e non ci piacevano le persone che avevi intorno.  Ma eravamo impotenti.
Un’amica  mi ha consigliato di cercare una via diversa per arrivare a te.
Tii ho scritto una lettera, questa lettera.
Per far arrivare l’affetto che la voce dimenticava subito, caricandosi di autorità e rabbiia.
Ora sono stupita dell’attenzione che questo foglio ha ricevuto.
E mi fa sentire un po’ in colpa,
perché la lettera non è stata scritta per esprimere dei sentimenti, peraltro sinceri,
ma per ottenere da te ubbidienza.
Le manifestazioni di affetto non devono essere finalizzate a qualcosa.
Devono essere inutili.
Era una cosa disonesta.
La lettera vera dell’affetto potrebbe essere questa
che tu non leggerai.

Non trovo foto tue,  almeno non recenti. Mi spiace non averne. Ce ne sono al pc, ma non so come vederle.
Ora ho finito.
Spolverato, lavato, riordinato.
Tra due giorni è natale.
Troverai la tua stanza in ordine
se tornerai.



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