- Cazzo, un angelo…
Lei era lì, immobile, a bocca aperta….
Erano le otto di mattina del 25 dicembre. Era ai giardini
in fondo al viale, vestita con le prime cose che le erano venute per le mani,
quando Luna le aveva fatto capire che era ora. Spuntava il pigiama da sotto i
jeans, e il cappuccio del giaccone tirato su lasciava intravedere la faccia non
ancora lavata, stropicciata e assonnata. E Luna era lì, seduta a fianco a
lei, e la guardava, cercando di capire perché si era arrestata così di colpo, e
perché tanto spavento.
Un angelo… sì, proprio un angelo. Una figura elegante
e delicata coricata sulla panchina.
Per lei non era strano vedere qualcuno addormentato lì, di
solito ci trovava il barbone. Tutte le mattine lo cercava con gli occhi da
lontano, e quando non c’era rimuginava su dove potesse essere andato - alla
caritas o in stazione, magari allontanato dagli scherzi dei ragazzi -, o su
cosa potesse essergli successo. Lo vedeva quasi tutti i giorni ma non lo
conosceva, se ne stava sempre lì nascosto da stracci e cartoni.
Il lettore starà scrollando la testa, pensando: - non è
possibile, non sarà stato un angelo; come fa questa a riconoscerlo, che ne
saprà mai di angeli?
- No no, non sono mica scema, un angelo
lo so riconoscere eccome, anche se in verità non ci credo, o meglio… non ci
credevo. Quello era un angelo come quelli delle chiese e dei libri per bambini.
Tornando alla descrizione, dinnanzi alla ragazza c’era una
figura elegante, magra. Media statura. Un lungo abito di seta bianca, di un
bianco abbacinante, leggermente spiegazzato. Riccioli biondi appena un po’
scomposti. Viso pallido, diafano, di un ragazzo (o ragazza) di 14 o 15 anni.
Non vedeva gli occhi - che avrebbe poi scoperto essere azzurri - perché
le palpebre erano chiuse. E che cos’era quella specie
di trapuntina bianca che spuntava da dietro le spalle? No, non era
una copertina. Nooooo, era veramente troppo…
Si girò verso Luna; questa era assolutamente indifferente
alla cosa: non cercava di avvicinarsi al tipo lì (all’angelo), come se
non lo avesse visto. Annusava inquieta tutto intorno, e alcune piume bianche la
fecero starnutire. C’era un odore che non riconosceva, e andava avanti e
indietro per individuarlo. Lo sentiva anche lei: sembrava vaniglia, no,
borotalco. Odore di angelo.
Si voltò e guardò in giro - qualcuno avrebbe ben portato il
cane al parco anche se era la mattina di natale - ma non vide nessuno con cui
condividere i suoi dubbi.
Niente dubbi. Un angelo. Quello era un angelo.
Si tirò giù il cappuccio del giaccone, cominciava a sudare:
- La pastiglia per dormire? Lo spumante
del brindisi di ieri sera? Mi sembrava un po’ forte. Oddio…
Per fortuna successe qualcosa: l’angelo cominciò a
respirare più profondamente, aprì le palpebre, portò le mani al viso per
stropicciarsi gli occhi, proprio come un uomo, e... sbadigliò. Si mise a
sedere, rassettò la veste sgualcita e diede una spolverata alle piume con le
mani, come per darsi un tono. Cosa sorprendente, alzò gli occhi e la guardò. Le sorrise.
- Buongiorno.
- Ciao Paola, ciao Luna.
- Questa è la panchina del barbone, che
ci fai qui?
- Scusa, sono un po’ confuso. Fammi
raccogliere le idee. Sì, il barbone... è il mio uomo, cioè io sono il suo
angelo.
- Sei il suo angelo?
- Sì certo.
- Ah, capito. Il suo angelo. E che fai
qui?
- Ora ti spiego. Ieri sera lui era qui,
pronto a mettersi a dormire - giornali già sistemati - dopo una cena migliore
del solito, a base di avanzi provenienti dalla rosticceria ( glieli avevano
regalati perchè ci sarebbero stati due giorni di chiusura). Aveva bevuto
abbondantemente, e questo era una novità. Aveva del buon vino, non il solito
tavernello ma vino in bottiglia. E la tentazione per me è stata forte. Ho
voluto assaggiarne un po’. Non sapevo che gusto avesse: sai, in tanti secoli
non ne ho bevuto neppure un goccio.
- e ti sei ubriacato. Capita.
- Così mi sono addormentato qui. Lo so
bene, non avrei dovuto. Non avrei dovuto perdere il controllo, non avrei dovuto
farmi vedere… Anzi, mi raccomando, la
cosa resti tra noi.
Il suo sguardo si allungò oltre la spalla di lei. Lei si girò ma non vide nessuno.
- E soprattutto… lui, lui dov’è?
- Lui chi?
- Il mio Uomo… Se ne va in giro senza di
me. E’ in pericolo!
- Posso aiutarti a cercarlo. Sarà
davanti alla chiesa, lo vedo spesso lì al mattino. Tra poco inizia la
messa di natale. Ci sarà tanta gente, entrate extra.
- Lo so, lo so. A quest’ora starà
frugando nel cassonetto degli indumenti usati. La mattina di natale non si
fa... Meglio mi sbrighi.
- Ti accompagno.
Si avviarono lentamente lungo il vialetto, affiancati, la
donna con il suo cane e l’angelo, come amici di sempre. Strana coppia. Incrociarono
la signora col barboncino bianco, che salutò gioviale come ogni mattina, senza dar
segno di notare alcunchè di insolito.
- Posso chiederti?
- Se sono maschio o femmina? - E
scrollando la testa: - angelo.
- Già, angelo. E tutti hanno un angelo?
Anch’io?
L’angelo sorrise.
Ora erano sul viale. Non passavano macchine, nessuno a
piedi. Incontrarono solo il panettiere, che stava sistemando le luci di natale
davanti al negozio. Abituato a non dormire, al mattino serviva di solito in
negozio per sollevare la signora che intanto rassettava casa. Anche a
natale non aveva sonno. Non sapendo che fare, aveva pensato agli addobbi da
mettere su. Salutò e diede due coccole a Luna, che reclamava il suo grissino quotidiano
davanti alla saracinesca chiusa.
- Perché io ti vedo e gli altri no?
- Normalmente gli uomini non ci vedono.
Poi ci sono particolari condizioni, come la temperatura e l’umidità, momenti particolari - oggi non è un giorno
qualunque - , persone particolari, e nello stato d’animo giusto… dimenticavo,
l’alcol.
- Ma io non credo agli angeli.
- Appunto.
- Ma cosa fanno gli angeli? Tu che
cosa fai?
- Proteggo il mio uomo. Lo aiuto.
- E cosa vuol dire che le cose vanno
male, quando vanno male? Il tuo Uomo ad esempio non se la passa così bene…
Sospirò:
- Ci sono uomini che non si lasciano
aiutare. Vedi il mio caso: il mio è un Uomo difficile. Ma non è un cattivo
uomo. Aveva una vita regolare, una famiglia, era persino ricco… poi
ha combinato dei pasticci, il lavoro gli è andato male, è rimasto solo.
- E cosa fai per lui?
- Non riesco a fare molto. Ma sono
sempre con lui.
Abbassò gli occhi:
- Quasi sempre.
- Ma non riesco a immaginare la vostra
presenza: perchè a volte serve un angelo e non ci sei? Anzi non ci siete?
Un velo di melanconia annebbiò lo sguardo dell’angelo:
- Come siete ingenui, voi uomini, fate
tutto facile, bianco o nero. A volte le cose non sono quel che sembrano, a
volte il male non è male, e il bene non è bene. A volte una cosa brutta
prepara la strada alla felicità, o qualcosa di simile. Comunque non
possiamo risolvere tutti i problemi e far sparire il dolore. Vorrebbe dire che
gli uomini non sono più uomini; avreste vite e mondi in cui non vi
riconoscereste. E ancora, la felicità esiste se confrontata all’infelicità… ma
questa non è materia mia, sono un angelo, mica un filosofo… Poi ci sono tante
cose che facciamo per voi, per aiutarvi, e
neanche ve ne accorgete: un incidente scampato (pensa a quanto lavoro
hai dato tu al tuo angelo: almeno ti mettessi la cintura quando guidi…), una
guarigione improvvisa, un amico ritrovato, un nuovo nato, tutte le piccole e
grandi cose che cambiano la vita in meglio.
- Sempre merito vostro?
- Con un po’ di impegno da parte vostra.
Tornando a te, ricordi quella volta che hai trovato Luna?.
- Luna? Veramente non l’ho trovata, sono
andata a prenderla io al canile. Che angelo e angelo… - E lui sorrise.
- Certo, a volte ci cercate e abbiamo un
momento di distrazione (come è capitato a me ieri sera), a volte vi
distraete voi. Ricordo quella volta dei mondiali (non ci interessiamo di
calcio, ma sai, i mondiali...) che disastro…
- Scusa se ti interrompo, sono arrivata.
Ecco il mio portone.
Si salutarono con un cenno della mano, come vecchi amici,
lei e l’angelo. Questi proseguì verso la chiesa. Lei girò la chiave nella
serratura; lasciò aperto un attimo mentre seguiva con gli occhi la figura
bianca e luminosa, fino a vederla scomparire nella nebbia.
Si fece da parte per far passare Luna; mentre richiudeva la
porta sentì un fruscio lieve.
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