Da un mese mi
hanno distaccato alla raccolta differenziata, e questo proprio non mi va. Ne
voglio parlare col sindacato, appena ho tempo.
Lavoro da tempo all’amiu, ma prima
stavo in un altro settore. Certo, sempre
rifiuti erano, ma non stavo tutto il giorno sul camion. Pulivo aiuole e
marciapiedi, e intanto parlavo coi passanti…c’era la signora col cagnolino
nero, che usciva presto, alle sette, e aveva sempre tempo di fermarsi a chiacchierare;
c’era il signore col suv che parcheggiava
sul marciapiede – ma lo faceva perchè aveva un qualche problema fisico,
faceva fatica a camminare …- , non ho capito cosa facesse, forse avvocato o
commercialista , da come vestiva, e dalla ventiquattrore. Insomma, conoscevo tutti, facevo due parole, e
quando ero solo sentivo la musica con l’mp3.
Ora invece sto sul camion, sul
predellino in fondo al cassone. Scendo per svuotare i bidoni. Prendo un
contenitore, lo appoggio sulla sbarra, premo il pulsante, il dispositivo
solleva il bidone, lo rovescia nel container e un braccio mescola; premo di
nuovo il pulsante, il cassonetto ritorna giù, e lo metto a posto davanti al
portone di casa. Dieci metri, un altro bidone.
Incontro gli amici del quartiere,
ma c’è tempo solo per un saluto veloce.
Lunedì plastica, martedì vetro, mercoledì carta, giovedì indifferenziato, venerdì organico. Un bidone, dieci metri un
altro bidone.
Oggi è
venerdì, il giorno più brutto. C’è l’organico.
Apro sempre il coperchio, anche
se non serve e, a rigore, è una perdita di tempo. Controllo perché c’è gente
che non sa fare la raccolta differenziata, che è una cosa seria, e mette giù di
tutto. In verità lo faccio anche perché sono curioso della vita della gente, si
capiscono tante cose delle persone da questi bidoni. Proprio così, c’è tanta
vita nella spazzatura: si vede come la gente mangia, quanto guadagna e quanto spreca…si
vede se ci sono bambini, ragazzi o vecchi, uomini o donne, persone sole o
famiglie…si capisce da dove vengono… Certo, questo non è un gran divertimento, l’organico
puzza. I sacchetti gocciolano; la gente neppure
sa che può chiedere la disinfezione dei bidoni…
Apro, un’occhiata veloce e
selettiva, smuovo il contenuto. Quanti sacchetti di plastica non biodegradabile.
Giro il bidone, lo svuoto e lo ridepongo a terra. Dieci metri. Un altro bidone.
Ecco la signora col cagnolino
nero. Per poco non si fa mettere sotto, ha sempre la testa per aria quella lì,
chissà a che pensa. Si scusa, saluta.
Apro il coperchio. In questa casa
sono attenti all’ambiente, quasi tutti sacchetti di mais. Dieci metri. Un altro
bidone.
Che puzza qui. Cos’anno messo?
Che schifo, cos’è questo, sangue?
Ma chiudete bene questi sacchetti!
Appoggio il bidone sulla sbarra,
lo giro. Mi fermo di colpo, lo riposo a
terra.
-
Ma che fai? Vuota e sali!
Il sacchetto giallo, il sacchetto
dell’esselunga, si muoveva.
Controllo.
Il sacchetto si muove davvero,
anche se impercettibilmente. E qualcosa esce dall’involucro…
Una manina. Una manina minuscola,
forse due centimetri.
Esce dal sacchetto lacerato. Bucato
da un aggeggio di plastica, illecitamente miracolosamente finito nell’organico.
La manina sembrerebbe essere
quella di una bambola - che non dovrebbe stare in questo bidone, ma in quello
della plastica – se non fosse che si muove compulsivamente, come a stringere
qualcosa; così pure si muove l’involucro giallo da cui la manina esce.
Forse è un’allucinazione. Mi sono
alzato alle quattro, sono stanco. Un bidone puzzolente, dieci metri, un altro
bidone…dalle quattro di mattina…spazzatura di merda, che mi succede…
Chiudo gli occhi e li riapro.
-
Sbrigati, dai,…
Ricontrollo.
La manina e sempre lì, la busta
di plastica gialla è sempre lì, e si muove.
La afferro con delicatezza,
allargo lo squarcio da cui esce la manina
Tiro via il sacchetto e…
E lo prendo in braccio,
anzi, la prendo in braccio.
-
Forza, siamo in ritardo….
Ti stringo al petto
anche se non so come si abbraccia
un bambino e ho paura di romperti.
piangi piccola piangi,
piangi ti prego,
se piangi vuol dire che sei viva,
vuol dire che stai bene e vivrai.
Piangi ti prego…
-
Che fai? Finisce il turno tra cinque minuti, devo
portare Luca a scuola…
Non ho mai stretto al cuore un
bambino
e sa dio quanto avrei voluto.
Non so cosa fare,
non so pensare alle cose sentite
in tv su come rianimare…
Ti stringo forte e delicatamente
insieme
contro la tuta arancione sporca,
e ti massaggio piano sulla
schiena.
Devono essere mie le lacrime che
bagnano questo corpicino ancora avvolto per metà nella plastica,
appiccicoso di sangue, muco e
avanzi di torta con la panna.
E non posso asciugarle perché le
mie mani sono impegnate a stringere quest’esserino,
Perché so che se sciolgo questo
abbraccio è la fine
-
Dai sali….
Sara
sei tu, Sara?
Saresti stata Sara se il signore
avesse voluto.
Nessuna bambina è stata tanto
desiderata,
ma non era destino.
Ricordo lei, quella che avrebbe
dovuto diventare la mamma di Sara, la tua mamma, Sara,
nuda nella doccia, seduta a
terra, con la testa fra le mani, sotto l’acqua bollente che scorreva, l’acqua colorata di rosso.
Non ci sarebbe stata Sara.
Non ci sarebbe stata più.
Ci sarebbero stati altri bambini
e la sofferenza di lei ogni volta
che vedeva un bimbo per strada,
e diceva
guarda che bello, che occhi, che
sorriso, che capelli,
guarda come cammina, che buffo,
guarda che capricci,
guarda che disastro ha combinato,
guarda come si è sporcato tutto,
senti come urla,
senti come ride.
e sembrava divertita.
Ma sapevo che pensava a te.
E il mio dolore per lei era ogni
volta più acuto.
Si sente sbattere la portiera.
-
Ma insomma, che succede, si può sapere? - Si avvicina
il collega.
Nessuno parla più. Un attimo di
silenzio.
E poi un urlo,
più che un urlo un pianto
acutissimo.
Il pianto di un bambino appena
nato.
Il pianto sale dall’abraccio
delicato della tuta arancione.
Forse sei tu,
sì, sei tu Sara,
nasci ora,
vivrai.
Ora sono sicuro che vivrai.
Come vorrei che lei fosse qui,
che ti vedesse ora,
così bella
- e io che non ci ho mai creduto
che un neonato potesse essere bello, così bello -.
Così bella tutta sporca,
ma magari togliamolo questo pezzo
di sant’honoré.
Se tu sei Sara
non sei per me, per lei, per noi ,
ma non importa.
Un automobilista suona il clacson.
E’ il tipo col suv. Nessuno si muove.
Neppure il collega urla più.
Telefona.
E intanto mi spinge in cabina, e
in un attimo è alla guida.
Sfrecciamo davanti a una fila di
bidoni marroni che nessuno vuoterà oggi. In cinque minuti siamo in ospedale
Tu sei sempre qui tra le mie
braccia,
avvolta della giacca a vento arancione,
sporca ma calda.
Ecco l’infermiera venirmi
incontro, allungare le braccia.
Dico che ti porto io.
ma so che devo cedere
e in un attimo sparisci.
non ci sei già più,
Sara.
Lei non ti ha neppur vista
Non saprà mai come sei bella.
-
Andiamo, torniamo in sede.
L’autista mi tira via per la
divisa. Il cellulare suona - i ragazzi da portare a scuola - ma non risponde. Non
parla neppure più. Non sembra avere più fretta.
Il mio preferito. Meraviglioso. Ogni volta che lo leggo piango, forse anche eprchè toca corde un po' troppo profonde...pensa che me lo sono stampato e lo conservo con cura in uno dei miei libri preferiti.
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