venerdì 16 marzo 2012

Raccolta differenziata


 
Da un mese mi hanno distaccato alla raccolta differenziata, e questo proprio non mi va. Ne voglio parlare col sindacato, appena ho tempo.
Lavoro da tempo all’amiu, ma prima stavo in un altro settore.  Certo, sempre rifiuti erano, ma non stavo tutto il giorno sul camion. Pulivo aiuole e marciapiedi, e intanto parlavo coi passanti…c’era la signora col cagnolino nero, che usciva presto, alle sette, e aveva sempre tempo di fermarsi a chiacchierare; c’era il signore col suv che parcheggiava  sul marciapiede – ma lo faceva perchè aveva un qualche problema fisico, faceva fatica a camminare …- , non ho capito cosa facesse, forse avvocato o commercialista , da come vestiva, e dalla ventiquattrore.  Insomma, conoscevo tutti, facevo due parole, e quando ero solo sentivo la musica con l’mp3.
Ora invece sto sul camion, sul predellino in fondo al cassone. Scendo per svuotare i bidoni. Prendo un contenitore, lo appoggio sulla sbarra, premo il pulsante, il dispositivo solleva il bidone, lo rovescia nel container e un braccio mescola; premo di nuovo il pulsante, il cassonetto ritorna giù, e lo metto a posto davanti al portone di casa. Dieci metri, un altro bidone.
Incontro gli amici del quartiere, ma c’è tempo solo per un saluto veloce.
Lunedì plastica, martedì vetro, mercoledì  carta, giovedì indifferenziato,  venerdì organico. Un bidone, dieci metri un altro bidone.
Oggi è venerdì, il giorno più brutto. C’è l’organico.
Apro sempre il coperchio, anche se non serve e, a rigore, è una perdita di tempo. Controllo perché c’è gente che non sa fare la raccolta differenziata, che è una cosa seria, e mette giù di tutto. In verità lo faccio anche perché sono curioso della vita della gente, si capiscono tante cose delle persone da questi bidoni. Proprio così, c’è tanta vita nella spazzatura: si vede come la gente mangia, quanto guadagna e quanto spreca…si vede se ci sono bambini, ragazzi o vecchi, uomini o donne, persone sole o famiglie…si capisce da dove vengono… Certo, questo non è un gran divertimento, l’organico puzza. I sacchetti gocciolano;  la gente neppure sa che può chiedere la disinfezione dei bidoni…
Apro, un’occhiata veloce e selettiva, smuovo il contenuto. Quanti sacchetti di plastica non biodegradabile. Giro il bidone, lo svuoto e lo ridepongo a terra. Dieci metri. Un altro bidone.
Ecco la signora col cagnolino nero. Per poco non si fa mettere sotto, ha sempre la testa per aria quella lì, chissà a che pensa. Si scusa, saluta.
Apro il coperchio. In questa casa sono attenti all’ambiente, quasi tutti sacchetti di mais. Dieci metri. Un altro bidone.
Che puzza qui. Cos’anno messo? Che schifo, cos’è questo, sangue?
Ma chiudete bene questi sacchetti!
Appoggio il bidone sulla sbarra, lo giro.  Mi fermo di colpo, lo riposo a terra.
-          Ma che fai? Vuota e sali!
Il sacchetto giallo, il sacchetto dell’esselunga, si muoveva.
Controllo.
Il sacchetto si muove davvero, anche se impercettibilmente. E qualcosa esce dall’involucro…
Una manina. Una manina minuscola, forse due centimetri.
Esce dal sacchetto lacerato. Bucato da un aggeggio di plastica, illecitamente miracolosamente finito nell’organico.
La manina sembrerebbe essere quella di una bambola - che non dovrebbe stare in questo bidone, ma in quello della plastica – se non fosse che si muove compulsivamente, come a stringere qualcosa; così pure si muove l’involucro giallo da cui la manina esce.
Forse è un’allucinazione. Mi sono alzato alle quattro, sono stanco. Un bidone puzzolente, dieci metri, un altro bidone…dalle quattro di mattina…spazzatura di merda, che mi succede…
Chiudo gli occhi e li riapro.
-          Sbrigati, dai,…
Ricontrollo.
La manina e sempre lì, la busta di plastica gialla è sempre lì, e si muove.
La afferro con delicatezza, allargo lo squarcio da cui esce la manina
Tiro via il sacchetto e…
E lo prendo in braccio,
anzi, la prendo in braccio.
-          Forza, siamo in ritardo….
Ti stringo al petto
anche se non so come si abbraccia un bambino e ho paura di romperti.
piangi piccola piangi,
piangi ti prego,
se piangi vuol dire che sei viva,
vuol dire che stai bene e vivrai.
Piangi ti prego…
-          Che fai? Finisce il turno tra cinque minuti, devo portare Luca a scuola…
Non ho mai stretto al cuore un bambino
e sa dio quanto avrei voluto.
Non so cosa fare,
non so pensare alle cose sentite in tv su come rianimare…
Ti stringo forte e delicatamente insieme
contro la tuta arancione sporca,
e ti massaggio piano sulla schiena.
Devono essere mie le lacrime che bagnano questo corpicino ancora avvolto per metà nella plastica,
appiccicoso di sangue, muco e avanzi di torta con la panna.
E non posso asciugarle perché le mie mani sono impegnate a stringere quest’esserino,
Perché so che se sciolgo questo abbraccio è la fine
-          Dai sali….

Sara
sei tu, Sara?
Saresti stata Sara se il signore avesse voluto.
Nessuna bambina è stata tanto desiderata,
ma non era destino.
Ricordo lei, quella che avrebbe dovuto diventare la mamma di Sara, la tua mamma, Sara,
nuda nella doccia, seduta a terra, con la testa fra le mani, sotto l’acqua bollente che scorreva,  l’acqua colorata di rosso.
Non ci sarebbe stata Sara.
Non ci sarebbe stata più.
Ci sarebbero stati altri bambini
e la sofferenza di lei ogni volta  che vedeva un bimbo per strada,
e diceva
guarda che bello, che occhi, che sorriso, che capelli,
guarda come cammina, che buffo,
guarda che capricci,
guarda che disastro ha combinato,
guarda come si è sporcato tutto,
senti come urla,
senti come ride.
e sembrava divertita.
Ma sapevo che pensava a te.
E il mio dolore per lei era ogni volta più acuto.
Si sente sbattere la portiera.
-          Ma insomma, che succede, si può sapere? - Si avvicina il collega.
Nessuno parla più. Un attimo di silenzio.
E poi un urlo,
più che un urlo un pianto acutissimo.
Il pianto di un bambino appena nato.
Il pianto sale dall’abraccio delicato della tuta arancione.
Forse sei tu,
sì, sei tu Sara,
nasci ora,
vivrai.
Ora sono sicuro che vivrai.
Come vorrei che lei fosse qui,
che ti vedesse ora,
così bella
- e io che non ci ho mai creduto che un neonato potesse essere bello, così bello -.
Così bella tutta sporca,
ma magari togliamolo questo pezzo di sant’honoré.
Se tu sei Sara
non sei per me, per lei,  per noi ,
ma non importa.

Un automobilista suona il clacson. E’ il tipo col suv. Nessuno si muove.
Neppure il collega urla più. Telefona.
E intanto mi spinge in cabina, e in un attimo è alla guida.
Sfrecciamo davanti a una fila di bidoni marroni che nessuno vuoterà oggi. In cinque minuti siamo in ospedale
Tu sei sempre qui tra le mie braccia,
avvolta della giacca a vento arancione, sporca ma calda.
Ecco l’infermiera venirmi incontro, allungare le braccia.
Dico che ti porto io.
ma so che devo cedere
e in un attimo sparisci.
non ci sei già più,
Sara.
Lei non ti ha neppur vista
Non saprà mai come sei bella.
-          Andiamo, torniamo in sede.
L’autista mi tira via per la divisa. Il cellulare suona - i ragazzi da portare a scuola - ma non risponde. Non parla neppure più. Non sembra avere più fretta. 

1 commento:

  1. Il mio preferito. Meraviglioso. Ogni volta che lo leggo piango, forse anche eprchè toca corde un po' troppo profonde...pensa che me lo sono stampato e lo conservo con cura in uno dei miei libri preferiti.

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